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146 Storia della Letteratura Italiana.


in Roma, e con uguale fervore applicossi agli studj. Era già egli stato discepolo di un Diogene Stoico, poscia frequentò la scuola, e giovossi assai del sapere di Panezio1. A lui pure si aggiunsero e C. Furio e Q. Tuberone e Q. Muzio Scevola, ed altri molti tra’ principali Cavalieri Romani2 .

VI. Così cominciavano in Roma a fiorire gli studj, e cominciavano i Romani ad intendere, che il valor militare non era la sola strada, che conducesse all’immortalità del nome. I Filosofi Greci vedevano i più nobili Cittadini farsi loro discepoli, e molti ancora ne vedevano alle loro scuole i Greci Retori ossia Precettori dell’Eloquenza. Di questi io non trovo veramente notizia alcuna distinta presso gli antichi scrittori. Ma che molti ve ne avesse in Roma, chiaro si rende e dal discorso di Polibio a Scipione riferito poc’anzi, e molto più dal Decreto, che ora riferiremo, e per cui poco mancò, che sì lieti principj fino dalla radice non fosser troncati. L’anno 592, cioè sei soli anni dappoiché venuti erano a Roma i Filosofi e i Retori Greci, ecco un severo editto del Romano Senato, che commette al Pretore di fare in modo, che Retori e Filosofi più non siano in Roma. 20 21 Svetonio3 e Gellio 4ce ne hanno conservate le precise parole: C. Fannio Strabone e M. Valerio Messala Coss. (questi furono appunto Consoli nel detto anno 592) Senatus Consultum de Philosophis & Rhetoribus factum est. M. Pomponius Prætor Senatum consuluit, quod verba facta sunt de Philosophis & Rhetoribus. De ea re ita censuerunt, ut Marcus Pomponius Prætor animadverteret, uti e Republica fideque sua videretur,

  1. Cic de Fin. I. IL n. 8
  2. Lo studio della lingua greca cominciò fin da questi tempi in Roma a rivolgersi in abuso. Narra Suida, e assai prima di lui avea narrato Polibio (Excepta ex Legat opud Vales p. 189, 190) che Aulo Postumio, uomo di nobilissima nascita, ma leggero e loquace oltre modo, fin da fanciullo diedesi allo studio della lingua greca, ma in sì affettata maniera che la greca letteratura divenne odiosa a' più saggi che erano in Roma. Volle poscia scrivere un poema e una storia delle cose della Grecia, e lusingossi di ottener lode presso i dotti dicendo nell'esordio, che era degno di compatimento se essendo romano, avea scritto in greco; ridicola scusa, dice Polibio, e somigliante a quella di chi, essendosi spontaneamente offerto alla lotta, se ne scusasse poscia perchè non ha forze ad essa bastevoli.
  3. De Q, Rhetor. e I
  4. L. XV. e XI.