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214 Storia della Letteratura Italiana.

lettere scritte dal Ponto hanno anch’esse de’ bellissimi tratti. Ma la lontananza da’ suoi, e la barbarie de’ popoli, tra cui si trovava, dovea necessariamente scemare nell’infelice Poeta la vivacità natia e l’usato suo brio. De’ libri amorosi Ovidio stesso ebbe poi pentimento e vergogna d’avergli scritti; e noi non possiam non dolerci, che un sì raro ingegno siasi per tanto tempo avvolto in sì laide sozzure. Di una sua Tragedia avremo a favellare tra poco. Degli altri piccioli Poemetti, che vanno sotto suo nome, quali debbano aversi per suoi, quali altre Poesie avesse egli scritte, che più non si trovano, le edizioni, le traduzioni, i comenti, che abbiamo delle opere a noi pervenute, tutto ciò si può vedere appresso il Fabricio167; che forse troppo a lungo intorno a questo Poeta noi ci siam trattenuti.

XLV. Due altri Poeti finalmente appartengono, a mio parere, all’Epoca di cui parliamo, benché altri a diversa età gli voglian vissuti, M. Manilio, e Fedro. Assai scarse son le notizie, che abbiam d’amendue; ma queste bastano, io credo, ad accertare che vissero anch’essi al buon secol d’Augusto. M. Manilio vien detto dal Quadrio168 Antiocheno di patria, e non diverso da quel Manlio Matematico, che per testimonianza di Plinio sull’obelisco del campo Marzio collocò un gnomone. Ma in tal maniera il Quadrio ha unito tre personaggi in un solo, Manlio il Matematico autore del mentovato gnomone, Manlio Antiocheno, e Manilio il Poeta, di cui parliamo. Del primo possiamo a ragion dubitare, se mai esistesse, perciocché vedremo a suo luogo parlando di quel gnomone, che benché in alcune edizioni di Plinio se ne dica Manlio autore, questo nome però non è veramente ne’ migliori codici, ed è stato perciò ommesso





nelrecchie lettere in verfi, non divenne ad Ieggonfi fotto il non*? di Sabino in diuomini, ma d’uomini a donne, cioè di verfe edizioni delle Eroidi, per comun Uliffe a Penelope, d’Ippolito a Fedra, confenfo de’ dotti non fono degne di di Enea a Didone, di Demofoonte a quefta età. Avea ee^li ancora dato prinFillide, di d’afone ad I (Ti pile, come af- cipio a un Poema intitolato Trazena e ferma lo fteflo Ovidio ( Amor. JJtb. IL a un alrro detto de’ Giorni, o/Tia de’FaEL XVIII. ) • Ma tutte fonò perite; fti; ma rapirò da immatura morte, come perciocché la prima e la quarta, che in- dice lo fteflò Ovidio ( Ex Ponto L. IV. fiem con un’altra di Paride a Enone Et. uh. ) } non potè finirli. Ci) BiVL iat. lib. I. cap. XV. (2) T. VI. p. 37Digitized by Google