Pagina:Storia della letteratura italiana - Tomo I.djvu/338

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mma lode. Fedro e Patrone Epicurei8 , Diodoto Stoico9 , Antioco Accademico10, Possidonio parimente Stoico11, ed altri sono da lui spesso onorati col nome di dotti ed acuti Filosofi, della conversazione de’ quali egli si era singolarmente giovato. Ma in particolar modo negli ultimi due anni della sua vita, quando vide la Repubblica tutta sconvolta dalle turbolenze civili, e dalla prepotenza di Cesare, egli ritiratosi, benché solo per qualche tempo, a quieto e solitario riposo, alla Filosofia applicossi con grande ardore. Né pago di istruirsi in essa, volle ancora istruirne gli altri, e scrivendo latinamente a’ suoi Concittadini far pubblico, per così dire, quanto di meglio ne’ libri de’ Filosofi Greci si stava nascosto e chiuso. Niuno eravi stato ancor tra’ Romani, che con libri nella materna sua lingua scritti illustrata avesse cotale scienza. Philosophia, dice egli stesso12 , jacuit usque ad hanc ætatem, nec ullum habuit lumen literarum latinarum. Non già che niuno veramente avesse fin allora scritto cose Filosofiche in lingua latina. Molti anzi, e singolarmente Epicurei, come si è detto, eransi in ciò occupati: ma incolto e rozzo era lo stile da essi usato; e da niuno perciò eran letti i lor libri, fuorché da’ loro Autori medesimi e da alcuni loro più confidenti seguaci. Ecco come ne parla il medesimo Cicerone13

In quo eo magis

nobis est elaborandum, quod multi jam esse latini libri dicuntur scripti inconsiderate ab optimis illis quidem viris, sed non satis eruditis. Fieri autem potest, ut recte quis sentiat, & id quod sentit, polite eloqui non possit. Sed mandare quemquam literis cogitationes suas, qui eas nec disponere nec illustrare possit, nec delectatione aliqua allicere lectorem, hominis est intemperanter abutentis otio & literis. Itaque suos ipsi libros legunt cum suis, nec quisquam attingit præter eos, qui eamdem licentiam scribendi sibi permitti volunt. Varrone stesso, il dottissimo Varrone, che versato