Pagina:Storia della letteratura italiana I.djvu/137

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superficie, legga il Villani. Ma chi vuol conoscere le passioni, i costumi, i caratteri, la vita interiore da cui escono i fatti, legga Dino.

Finora non abbiamo creduto necessario di entrare nel vivo della storia, perchè gli scrittori, o ascetici, o cavallereschi o didattici scrivono come segregati dal mondo. Ma Dino vive nel mondo e col mondo; i fatti che racconta sono i fatti suoi, parte della sua vita, e la sua Cronaca è lo specchio del tempo, non nelle regioni astratte della scienza o nel fantastico della cavalleria e dell’ascetica, ma nella realtà della vita pubblica.

I partiti che straziavano Firenze con nomi venuti da Pistoja erano detti i Neri e i Bianchi, gli uni capitanati dai Donati e gli altri da’ Cerchi, famiglie potentissime di ricchezza e di aderenze. Dante sperò di poter pacificare la città, mandando in esilio i due più potenti e irrequieti capi delle due fazioni, Corso Donati e Guido Cavalcanti. Venuto malato, il Cavalcanti fu richiamato, ma non Corso Donati: di che si menò molto scalpore, massime che Dante era Bianco e amico del Cavalcanti.

I Neri erano guelfi puri, e si appoggiavano sui popolani e sul Papa, vicino influente, e centro di tutti gl’intrighi e le cospirazioni guelfe. Bonifazio VIII, venuto dopo il giubileo in maggior superbia, avea chiamato a sè con molte promesse Carlo di Valois, detto per dispregio senza terra, e mandato a Firenze sotto colore di pacificare la città, ma col proposito di ristorarvi la parte Nera. Qui comincia il dramma, esposto con sì vivi colori dal nostro Dino nel libro secondo.

Dante si lasciò persuadere di andare Legato a Roma. Si dice, abbia detto: Se io vado, chi resta? Restò il povero Dino. Certo, l’opera di Dante sarebbe stata più utile a Firenze, dove lasciò il campo libero agli avversarii. A Roma fu tenuto con belle parole da Bonifazio e non concluse nulla.