Pagina:Storia della letteratura italiana I.djvu/146

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«Onde la gente che la vide, e io che chiaramente la vidi, potemmo comprendere che Dio era fortemente crucciato contro la nostra città.»

La città per sei giorni fu messa a ruba. In pochi tocchi ti sta innanzi il quadro.

«Gli uomini che teneano i loro avversari si nascondeano per le case de’ loro amici. L’uno nimico offendea l’altro; le case si cominciavano ad ardere, le ruberie si faceano, e fuggivansi gli arnesi alle case degl’impotenti. I Neri potenti domandavano danaro a’ Bianchi; maritavansi le fanciulle a forza; uccideansi uomini, e quando una casa ardea forte, messer Carlo domandava: che fuoco è quello? E eragli risposto che era una capanna, quando era un ricco palazzo.»

I Priori, multiplicando il mal fare, e non avendo rimedio, lasciarono il priorato. E venne al governo la parte nera.

Dino fu il Pier Soderini di quel tempo, e fu a sè stesso il suo Machiavelli. Nessuno può dipingerlo meglio che non fa egli medesimo.

In questa maravigliosa cronaca non ci è una parola di più. Tutto è azione, che corre senza posa sino allo scioglimento. Ma è azione, dove pajon fuori caratteri e passioni. Un motto, un tratto è un carattere. Carlo, dopo di aver tratto da’ fiorentini molti danari, va a Roma e chiede danari a Bonifazio. Ma io ti ho mandato alla fonte dell’oro, risponde il Papa. È una risposta, che è un ritratto dell’uno e dell’altro. I discorsi sono sostanziosi, incisivi, non meno pittoreschi: vedi personaggi vivi, con la loro natura e i loro intendimenti, e fanno più effetto che non le studiate e classiche orazioni, venute poi. Uomo d’impressione più che di pensiero, Dino intuisce uomini e cose a prima vista, e ne rende la fisonomia che non la puoi dimenticare. Di Bonifazio VIII dice:

«Fu di grande ardire e alto ingegno, e guidava la