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Chiesa a suo modo, e abbassava chi non li consentia».
Di Corso Donati fa questo magnifico ritratto:
«Un cavaliere della somiglianza di Catilina romano, ma più crudele di lui, gentile di sangue, bello del corpo, piacevole parlatore; adorno di belli costumi, sottile d’ingegno, coll’animo sempre intento a mal fare, col quale molti masnadieri si raunavano, e gran seguito avea, molte arsioni e molte ruberie fece fare: molto avere guadagnò e in grande altezza salì. Costui fu messer Corso Donati che per sua superbia fu chiamato il Barone, che, quando passava per la terra, molti gridavano: Viva il Barone. E parea la terra sua. La vanagloria il guidava e molti servigi facea».
La stessa sicurezza è nella rappresentazione della cosa. Rapido, arido, tutto fatti, che balzan fuori coloriti dalle sue vivaci impressioni, dalla sua maraviglia, dalla sua indignazione. Una cosa soprattutto lo colpisce, che molte lingue si cambiarono in pochi giorni. Non vi si sa rassegnare, e li chiama ad uno ad uno, e ricorda loro quello che diceano e quello che erano. Il mutarsi dell’animo secondo gli eventi non gli potea entrare:
«Donato Alberti, dove sono le tue arroganze, che ti nascondesti in una vile cucina? O messer Lapo Salterelli, minacciatore e battitore de’ rettori che non ti serviano nelle tue quistioni, ove ti armasti? in casa i Pulci, stando nascoso. O messer Manetto Scali, che volevi esser tenuto sì grande e temuto, ove prendesti le armi? o voi popolani, che desideravate gli ufficii e succiavate gli onori, e occupavate i palagi de’ rettori, ove fu la vostra difesa? nelle menzogne, simulando e dissimulando, biasimando gli amici e lodando i nemici, solamente per campare. Adunque piangete sopra voi e la vostra città.»
I soliti fenomeni delle rivoluzioni brutali e ingenerose sono da lui rappresentati con lo stesso accento di maraviglia, come di cose non viste mai, e svegliano nel