Pagina:Storia della letteratura italiana I.djvu/172

Da Wikisource.

― 162 ―

i santi padri esortano spesso i fedeli a volger la mente all’altro mondo; anche oggi le prediche, i libri ascetici, i libri di preghiera non sono che un continuo memento mori; è famoso il pensa, anima mia, frase formidabile, a cui il lettore vede già in aria venir dietro il giudizio universale e le fiamme dell’inferno. Se le cose di quaggiù sono caduche, e nulla promission rendono intera, se il significato serio della vita e nell’altro mondo, se là è il vero, è la realtà; l’Iliade, il poema della vita è la Commedia, la storia dell’altro mondo.

In quei primi tempi la scienza non è necessaria a salute, anzi i cristiani menavano vanto della loro ignoranza: beati pauperes spiritu. Avendo per avversari, gli uomini più dotti, del paganesimo, rispondevano ex abundantia cordis, con la sicurezza e l’eloquenza della fede, la loro lingua di fuoco. Ma questo amore di cuori semplici, che spesso umiliava l’orgoglio di una scienza vota e arida, non bastò più appresso. Aristotele dominava nelle scuole, la scienza si era introdotta nella teologia e ne avea fatto un cumulo di sottigliezze, lo stesso misticismo avea preso forme scientifiche, divenuto ascetismo, scienza della santificazione, in Agostino, Bernardo e Bonaventura. L’amore dunque prende un contenuto, diviene scienza, e la loro unità è la filosofia, uso amoroso di sapienza.

La scienza però non contraddice, non annulla, anzi fortifica e dimostra lo stesso concetto della vita. Anche per Dante la santificazione è posta nella contemplazione; l’oggetto della contemplazione è Dio; la beatitudine è la visione di Dio; al sommo della scala de’ Beati mette i contemplanti, non gli operanti; ma per giungere all’unione con Dio, non basta volere, bisogna sapere, ci vuole la sapienza che è amore e scienza, unità del pensiero e della vita. Perciò Virgilio non può esser ragione, che non sia anche amore, e Beatrice non può esser fede, che non sia