Pagina:Storia della letteratura italiana I.djvu/176

Da Wikisource.

― 166 ―

e qui la scienza in luogo di calare nel reale ed obbliarvisi, lo tira e lo scioglie in sè.

Il mistero dell’anima era dunque o rozza e greggia realtà nella letteratura popolare, o trattato e allegoria nella letteratura dotta e solenne.

Dante s’impadronì di questo concetto e tentò realizzarlo come arte. Ma ci si mise con le stesse intenzioni e con le stesse forme. Prese quella rozza realtà degli ascetici, e volle farne l’ombrifero prefazio del vero, l’allegoria della scienza. Da questa intenzione non potea uscir l’arte.

Neppure l’esposizione della scienza in forma diretta è arte. Il poeta che vuole esporre la scienza, e vuol pur fare una poesia, si propone un problema assurdo, voler dare corpo a ciò che per sua natura è fuori del corpo. La poesia si riduce dunque a un puro abbigliamento esteriore, non penetra l’idea, non se l’incorpora; l’idea rimane invitta nella sua astrazione. Dante spiega in questo assunto tutte le forze della sua immaginazione; nessuno più di lui ha saputo con tanta potenza assalire la scienza nel proprio campo e farle forza; ma questo connubio della poesia e della scienza, ch’egli chiama nel Convito un eterno matrimonio, non è uno di due, è un eterno due. La poesia può farle preziosi doni, può vestirla sontuosamente, ingemmarla, girarle attorno carezzevole, può abbigliarla, non possederla. E la possiede allora solamente, quando non la vede più fuori di sè, perchè è divenuta la sua vita e anima, la realtà.

L’allegoria è una prima forma provvisoria dell’arte. È già la realtà, che però non ha valore in sè stessa, ma come figura, il cui senso e il cui interesse è fuori di sè, nel figurato, oggetto o concetto che sia. E poichè nel figurato ci è qualche cosa che non è nella figura, e nella figura ci è qualche cosa che non è nel figurato, la realtà divenuta allegorica vi è necessariamente gua-