Pagina:Storia della letteratura italiana I.djvu/228

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rio scompare il diavolo e muore la carne, e con la carne gran parte di poesia se ne va.

L’anima non appartiene più alla carne, ma l’ha avuta una volta sua padrona e se ne ricorda. La carne non è più una realtà come nell’inferno, ma una ricordanza. Nei sette gironi, rispondenti a’ sette peccati mortali, le anime ricordano le colpe per condannarle; ricordano le virtù per compiacersene.

Quel ricordare le colpe non è se non l’inferno che ricomparisce in purgatorio per esservi giudicato e condannato; quel ricordare le virtù non è se non il paradiso che preluce in purgatorio per esservi desiderato e vagheggiato: l’inferno ci sta in rimembranza; il paradiso ci sta in desiderio. Carne e spirito non sono una realtà; la tirannia della carne è una rimembranza; la libertà dello spirito è un desiderio.

Poichè la realtà non è più in presenza, ma in immaginazione, essa vi sta non come azione rappresentata e drammatica, ma come immagine dello spirito, a quel modo che noi riproduciamo dentro di noi la figura delle cose non presenti, e pingiamo al di fuori quello spettro della mente. Questa realtà dipinta vien fuori nelle pareti e nei bassi rilievi del Purgatorio. Nell’Inferno e nel Paradiso non sono pitture, perchè ivi la realtà è natura vivente, è l’originale, di cui nel purgatorio hai il ritratto. Inferno e paradiso sono in purgatorio, ma in pittura, come il passato e l’avvenire delle anime, non presenti agli occhi, ma all’immaginativa. Quelle pitture sono il loro memento, lo spettacolo di quello che furono, di quello che saranno, che le stimola, mette in attività la loro mente, sì che ricordano altri esempli e si affinano, si purgano.

Siamo dunque fuori della vita. Le passioni tornano innanzi alle anime, ma non sono più le loro passioni, sono fuori di esse, contemplate in sè o in altri con l’occhio dell’uomo pentito. Anche le virtù sono estrinseche alle