Pagina:Storia della letteratura italiana I.djvu/239

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Molto per la pittura, poco per la poesia. Manca la parola, manca la personalità. Ci è il corpo dell’angiolo; non ci è l’angiolo. Nelle dolci note, tra quelle forme d’angioli, l’anima s’infutura, gusta le primizie del piacere eterno. Di che prende qualità la natura del purgatorio, una montagna, scala al paradiso, in principio faticosa a salire.

E quando uom più va su, e men fa male.
Però quando ella ti parrà soave
Tanto che il su andar ti sia leggiero,
Come a seconda giù l’andar con nave,
Allor sarai al fin d’esto sentiero.

Il luogo è rallegrato da luce non propria, ma riflessa dal sole e dalle stelle, che sono il paradiso dantesco. La prima impressione della luce uscendo dall’inferno, cava a Dante questa bella immagine:

Dolce color d’oriental zaffiro
Che s’accoglieva nel sereno aspetto
Dell’aer puro infino al primo giro,
Agli occhi miei ricominciò diletto.

La natura è l’accordo musicale e la voce di quel di dentro: qui natura, angeli e anime sono un solo canto, un solo universo lirico. Scena stupenda è nel canto settimo, maravigliosa consonanza tra le ombre sedute, quete, che cantano Salve Regina, e la vista allegra del seno erboso e fiorito dove stanno:

Non avea pur natura ivi dipinto,
Ma di soavità di mille odori
Mi faceva un incognito, indistinto.
Salve Regina in sul verde e in su’ fiori
Quindi seder cantando anime vidi.

Le anime piangono e cantano; e il luogo alpestre è lieto di apriche valli e di campi odorati: il quale contrasto ha