Pagina:Storia della letteratura italiana I.djvu/287

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zioni non sono senza una esagerazione e ricercatezza, che rivelano lo sforzo. Ma quando vi s’immerge e vi si annega, la sua forma acquista il carattere della verità congiunta con la grandezza, è un modello di semplicità e naturalezza.

Gli è che Natura, negandogli le grandi convinzioni e le grandi passioni e lo sguardo profondo di Dante, ne aveva fatto un artista finito. L’immagine appaga in lui non solo l’artista, ma tutto l’uomo. Senza patria, senza famiglia, senza un centro sociale in mezzo a cui viva altro che letterario, ritirato nella solitudine dello studio e nell’intimo commercio degli antichi, la verità e la serietà della sua vita è tutta in queste espansioni estetiche, come la vita del Santo è nelle sue estasi e contemplazioni. Dante è sbandito da Firenze, ma la sua anima è sempre colà. Il Petrarca è costretto a dimostrare la sua italianità:

Non è questo il terren ch’io toccai prima?

A Dante non fa bisogno di rettorica. Si sente italiano, e ne ha tutte le passioni, e ne senti il fremito e il tumulto nella sua poesia. Ciò che al contrario ti colpisce nel mondo personale e solitario del Petrarca è la privazione della realtà, e un desiderio di essa scemo di forza che si appaga ne’ docili sogni dell’immaginazione. Tutto converge nell’immaginazione; tutto gli si offre come un sensibile: il pensiero e il sentimento sono in lui contemplazione estetica, bella forma. Ciò che l’interessa, non è entusiasmo intellettuale, nè sentimento morale o patriottico, ma la contemplazione per sè stessa, in quanto è bella, un sentimento puramente estetico. Laura piange: egli dice: quanto son belle quelle lacrime! Laura muore; egli dice:

Morte bella parrea nel suo bel viso.