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l’individuo. Sulla loro bandiera era scritto un motto divenuto così popolare: Non bisogna moltiplicare enti senza necessità.

L’ascetismo era il frutto naturale di un mondo teocratico spinto all’esagerazione. La vita quaggiù perdeva la sua serietà e il suo valore. L’uomo dimorava con lo spirito nell’altra vita. E la cima della perfezione fu posta nell’estasi, nella preghiera e nella contemplazione.

Così nacque la letteratura teocratica, così nacquero le leggende, i misteri, le visioni, le allegorie: così nacque la commedia, il poema dell’altra vita.

Il pensiero non aveva intimità, non calava nell’uomo e nella natura, ma se ne teneva fuori, tutto intorno alla natura e alle qualità degli Enti, che erano le stesse forze umane e naturali sciolte dall’individuo ed esistenti per sè stesse. Le astrazioni dello spirito divennero esseri viventi. E perchè le astrazioni, frutto dell’intelletto inesauribile nelle sue distinzioni e suddistinzioni, sono infinite, questi esseri moltiplicarono nell’acuto intelletto degli scolastici. Come il mondo scolastico fu popolato di esseri astratti, così il mondo poetico fu popolato di esseri allegorici, l’uomo, l’anima, la donna, l’amore, le virtù, i vizii. Non erano persone, come le pagane divinità; erano semplici personificazioni.

Il sentimento, come frutto di inclinazioni umane e naturali, era peccato. Le passioni erano scomunicate. La poesia era madre di menzogne. Il teatro cibo del diavolo. La novella e il romanzo generi di letteratura profani. Tutto questo si chiamava il senso, e il luogo comune di questo mondo ascetico era la lotta del senso con la ragione, da fra Guittone a Francesco Petrarca. Il sentimento reietto come senso e costretto ad esser ragione, strappato dal cuore umano, divenne anch’esso un universale, un fatto esteriore, ora simbolico, ora scolastico, o, come si diceva, platonico. Il padre de’ sentimenti,l’a-