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Pagina:Storia della letteratura italiana I.djvu/376

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pre gli antichi Romani, erano sangue latino, e la loro lingua era il latino, e la lingua parlata era chiamata il latino volgare, un latino usato dal volgo. Questo sentimento, legato in Dante con le sue opinioni ghibelline, ispirava più tardi l’Africa e latinizzava anche le facezie del Boccaccio. Ora diviene il sentimento di tutti e dà la sua impronta al secolo. La storia ricorda con gratitudine gli Aurispi, i Guarini, i Filelfi, i Bracciolini, che furono i Colombi di questo mondo nuovo. Gli scopritori sono insieme professori e scrittori. Dopo le lunghe peregrinazioni in oriente e in occidente, vengono le letture, i comenti, le traduzioni. Il latino è già così diffuso, che i classici greci si volgono in latino, perchè se ne abbia notizia, come i dugentisti volgevano in volgare i latini. Pullulano latinisti e grecisti: la passione invade anche le donne. Grande stimolo è non solo la fama, ma il guadagno. Diffusa la coltura, i letterati moltiplicano e si stringono intorno alle corti, e si disputano i rilievi ringhiando. Sorgono centri letterari nelle grandi città: a Roma, a Napoli, a Firenze, più tardi a Ferrara intorno agli Estensi. E quei centri si organizzano e diventano Accademie. Sorge la Pontaniana a Napoli, l’Accademia platonica a Firenze, quella di Pomponio Leto e di Platina a Roma. Illustri greci, caduta Costantinopoli, traggono a Firenze. Gemistio spiega Platone a’ mercatanti fiorentini, Marsilio Ficino, il traduttore di Platone, lo predica dal pulpito, come la Bibbia. Pico della Mirandola, morto a trentun anno, stupisce l’Italia con la sua dottrina, ed oltrepassando il mondo greco, cerca in Oriente la culla della civiltà.

I caratteri di questa coltura sono palpabili.

Innanzi tutto ti colpisce la sua universalità. Il centro del movimento non è più solo Bologna e Firenze. Padova gareggia con Bologna. Il mezzodì dopo lungo sonno prende il suo posto nella storia letteraria, e il Panor-