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Luigi Pulci rallegrava le feste e i conviti di Lorenzo, recitando le stanze del suo Morgante. Qui ritroviamo la fisonomia letteraria del tempo nelle sue gradazioni dal Burcgiello sgangherato e senza remi, come lo chiama Battista Alberti, sino a Lorenzo dei Medici. Il Pulci discende in diritta linea dal Boccaccio e dal Sacchetti, e ne sviluppa le tendenze con più energia che non il Poliziano e non Lorenzo.

Piglia il romanzo come lo trova per le vie, un miscuglio di santo e di profano, di buffonesco e di serio. E non pensa a dargli un carattere eroico, anzi niente più gli ripugna che la tromba. Ti dà un mondo rimpiccinito, fatto borghese, gli eroi sono scesi dal piedistallo, hanno perduta la loro aureola, e ti camminano innanzi semplici mortali. Niente è più volgare che Carlo o Gano. Carlo è un rimbambito; Gano è un birbante destituito di ogni grandezza; volgare lui, volgari i suoi intrighi. Rinaldo è un ladrone di strada; Ulivieri è un cacciatore di donne e la sua Meridiana non è in fondo che una femminella. Di caratteri e passioni non è a far parola, è un mondo superficiale e mobilissimo, e voi di palo in frasca, e non ti raccapezzi. Gano trama la rovina de’ Paladini; Forisena si gitta dalla finestra; Babilonia rovina; Carlo è scoronato da Rinaldo; tutti questi grandi avvenimenti scappan fuori appena abbozzati, come non fossero opera di uomini, ma di qualche bacchetta magica, rappresentati con la stessa indifferenza e leggerezza di colorito, con la quale Morgante si mangia un elefante e sfracella il capo a una balena. È la cavalleria com’era concepita e trasformata dalla plebe. Il cantastorie è in fondo un giullare, o piuttosto un buffone plebeo che abbassa quel mondo al suo livello e de’ suoi uditori, e invocati gravemente Dio e i santi e la Madonna, si abbandona a’ suoi lazzi e ti fa sbellicar dalle risa. Il buffone, personaggio accessorio ne’ racconti e nelle commedie, è qui il perso-