Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/132

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ammesse da tutti. Lo scrivere è per lui, come per i letterati di quel tempo, la traduzione del parlare e del discorso naturale in un certo meccanismo molto complicato e a lui faticoso, quasi vi facesse allora per la prima volta le sue prove. Molti uomini mediocri, quali il Casa, e il Castiglione, o il Salviati, o lo Speroni, vi riescono con minore difficoltà, come disciplinati ed educati a quella forma. La sua chiarezza intellettuale e la sua rapida percezione è in visibile contrasto con quei giri avviluppati e affannosi del suo periodo. Li diresti quasi artificii diplomatici per inviluppare in quelle pieghe i suoi concetti e le sue intenzioni, se non fosse manifesta la sua franchezza spinta sino al cinismo. Sono artificii puramente letterarii e rettorici. E sono rettorica le sue circonlocuzioni, le sue descrizioni, le sue orazioni, le sue sentenze morali, un certo calore d’immaginazione e di sentimento, una certa solennità di tuono. Al di sotto di questi splendori artificiali trovi un mondo di una ossatura solida e di un perfetto organismo, freddo come la logica ed esatto come la meccanica, e che non è forse in fondo se non un corso di forze e d’interessi seguiti nei loro più intimi recessi da un intelletto superiore.

La storia d’Italia è in venti libri e si stende dal 1494 al 1532. Comincia con la calata di Carlo VIII, finisce con la caduta di Firenze. Apparisce in ultimo, come un funebre annunzio di tempi peggiori, Paolo III, il Papa della inquisizione o del Concilio di Trento. Questo periodo storico si può chiamare la tragedia italiana, perchè in questo spazio di tempo l’Italia dopo un vano dibattersi cesse in potestà dello straniero. Ma lo storico non ha pur sentore dell’unità e del significato di questa tragedia: e il protagonista non è l’Italia e non è il popolo italiano. La tragedia c’è e sono le grandi calamità che colpiscono gl’individui: le arsioni, le prede, gli stupri, tutt’i mali della guerra. Avvolto fra tanti atro-