Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/152

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sè e non cerca l’effetto, verità di sentimento e di colorito, come in questa lettera così commovente nella sua semplicità: «Le scarpe azzurro-turchine, ricamate in oro, che ho ricevute insieme con la vostra lettera, mi han fatto tanto piangere, quanto m’hanno arrecato di piacere. La giovinetta che doveva adornarsene, questa mattina ha ricevuto gli olii santi, ed io non posso scrivervene di più, tanto sono commosso». La dissoluzione del meccanismo letterario è una forma di scrivere più vicino al parlare, libera da ogni preconcetto e immediata espressione di quel di dentro, uno stile ora fiorito, ora prezioso, che sono le due forme della declinazione dell’arte e delle lettere, ecco ciò che significa Pietro Aretino, come scrittore. La sua influenza non fu piccola. Aveva attorno secretarii, allievi e imitatori della sua maniera come il Franco, il Dolce, il Landi, il Doni, e altri mestieranti. «Io vivo di Kirieleison, scrive il Doni. I miei libri sono scritti prima di esser composti, e letti prima di esser stampati». La sua Libreria si legge ancora oggi per un certo brio e per curiose notizie.

Ma Pietro ha ancora una certa importanza, come scrittor di commedie. C’era un mondo comico convenzionale la cui base era Plauto e Terenzio, con accessorii cavati dalla vita plebea e volgare di quel tempo. La base erano equivoci, riconoscimenti, viluppi di accidenti, che tenessero viva la curiosità. Intorno vi si schieravano caratteri divenuti convenzionali, il parassito, il servo ghiottone, la cortigiana, la serva furba e mezzana, il figliuolo prodigo, il padre avaro e burlato, il poltrone che fa il bravo, il sensale, l’usuraio. Lo studio de’ nostri comici è interessante, chi voglia conoscer bene addentro i misteri di quella corruttela italiana. Vedrà i legami di famiglia sciolti, e figli scioperati accoccarla a’ padri, zimbello essi medesimi di usurai, cortigiani e mezzani, tra le risa del rispettabile pubblico. Codesto