Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/153

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mondo era la commedia, con sue forme fisse alla latina, sparsa di lazzi e di lubricità. Il più fecondo scrittor comico fu il Cecchi, morto il 1587, che in meno di dieci giorni improvvisava commedie, farse, storie e rappresentazioni sacre. Ha il brio e la grazia fiorentina comune col Lasca, ma ha meno spirito e movimento, anzi talora ti par di stare in una morta gora. Il suo mondo e i suoi caratteri sono come un repertorio già noto e fissato, e la furia gl’impedisce di darvi il colore e la carne. Ti riesce non di rado scarno e paludoso. Pietro dà dentro in tutto questo meccanismo e lo disfà. Non riconosce regole e non tradizioni e non usi teatrali. «Non vi maravigliate, dice nel Prologo della Cortigiana se lo stil comico non si osserva con l’ordine che si richiede, perchè si vive d’un’altra maniera a Roma, che non si vivea in Atene». Fra le regole c’era questa, che i personaggi non potevano comparire più di cinque volte in iscena. Pietro se ne burla con molto spirito. «Se voi vedessi i personaggi uscire più di cinque volte in iscena, non ve ne ridete, perchè le catene che tengono i molini sul fiume, non terrebbono i pazzi di oggidì». Mira all’effetto; tronca gl’indugi, sgombra gl’intoppi; evita le preparazioni, gli episodii, le descrizioni, le concioni, i soliloqui spessi; cerca in tutto l’azione e il movimento, e ti gitta fin dal principio nel bel mezzo di quel suo mondo furfantesco vivamente particolareggiato. Non ha la sintesi del Machiavelli, quell’abbracciare con sicuro occhio un vasto insieme, e legarlo e svilupparlo con fatalità logica, come fosse un’argomentazione. Non è ingegno speculativo, è uomo d’azione, e lui stesso personaggio da commedia. Perciò non ti dà un’azione bene studiata e ordita come è la Mandragola; gli fugge l’insieme, il mondo gli si presenta a pezzi e a bocconi. Ma come il Machiavelli, egli ha una profonda esperienza del cuore umano e grande conoscenza