Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/22

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Il suo nome sonar forse tant’alto,
Che tanto mai non si levò colomba.

E lo loda in latino e in volgare, e più sfacciatamente in latino:

Quis patre invicto gerit Hercule fortius arma?
Mystica quis casto castius Hyppolito?

Ma Ippolito non si curava delle lodi, e lo volea servo e non poeta:

Non vuol che laude sua da me composta
Per opra degna di mercè si pona:
Di merce degno è l’ir correndo in posta.
S’io l’ho con laude ne’ miei versi messo,
Dice ch’io l’ho fatto a piacer e in ozio:
Più grato fora essergli stato appresso.

Ludovico, scrittor di commedie, è lui medesimo un carattere de’ più comici, e, se rappresentando un mondo convenzionale è riuscito nelle commedie poco felice, è stato felicissimo dipingendo sè stesso alla buona e al naturale. Alcune sue qualità te gli affezionano. Ama i fratelli e la vecchia madre, e per loro si acconcia a servitù, rodendo il freno. Il suo ideale è la tranquillità della vita, starsene a casa fantasticando e facendo versi, vivere e lasciar vivere. Ma il punto è che sia lasciato vivere. Il poveruomo era un personaggio idillico, non aveva ambizioni, non curava grandezze, nè onori, gli sapeva meglio una rapa in casa sua, che tordo e starna all’altrui mensa:

e così sotto una vil coltre
Come di seta e d’oro ben mi corco.
    E più mi piace di posar le poltre
Membra, che di vantarle che agli Sciti