L’impresa non era lieve. Resistevano tutte le dotte mediocrità, tutto quel complesso di uomini e d’istituzioni che l’Aretino chiamava la pedanteria, i Polinnii di Bruno spalleggiati da francescani, domenicani e gesuiti, e spesso l’ultimo argomento era il rogo, il carcere, l’esilio. Dir cose nuove era delitto non solo alla Chiesa, ma a’ principi venuti in sospetto di ogni novità nelle scuole: pure la fede di un rinnovamento era universale, e Renovabitur fu il motto del Montano, discepolo di Telesio, nel compendio che scrisse della sua dottrina. Si era fino allora pensato col capo d’altri. Gli uomini volevano ora pensare col capo loro. Questo era il movimento. E fu così irresistibile, che la novità usciva anche da’ segreti del Convento. Fu là che si formò ne’ forti studii libera e ribelle l’anima di Bruno. E là, in un piccolo convento di Calabria, si educava a libertà l’ingegno di Tommaso Campanella. Assai presto oltrepassò gli studii delle scuole, e, fatto maestro di sè, lesse avidamente e disordinatamente tutti que’ libri che gli vennero alle mani. Nella solitudine si fa presto ad esser dotto. Ivi il giovine raccolse immensi materiali in tutto lo scibile. Il suo idolo era Telesio, il gran novatore; il suo odio era Aristotile con tutto il suo seguito, e, come Bruno, preferiva gli antichi filosofi greci, massime Pitagora. Venuto in Cosenza, i suoi frati, che già conoscevano l’uomo, non vollero permettergli di udire, nè di veder Telesio ciò che infiammò il desiderio e l’amore. Il giorno che Telesio morì, fu visto in chiesa accanto alla bara il giovine frate, che dovea continuarlo. I Cosentini, sentendolo nelle dispute, dicevano che in lui era passato lo spirito di Telesio. La scuola Telesiana o riformatrice, come era detta, gli fu tutta intorno, il Bombino, il Montano, il Gaieta, da lui celebrati insieme col maestro. Il suo primo lavoro fu una difesa di Telesio contro il napoletano Marta. Venuto a Napoli per la stampa dell’ope-