Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/301

Da Wikisource.

― 289 ―

delle ribellioni non si smorza se non o col gielo del terrore o con la pioggia del sangue. Dice cosa gravissima con lo spirito distratto dalla forma, cercando metafore. Qui la forma non è espressione, ma ostacolo; nè da questi lisci può venire la grave impressione che pur dee fare sullo spirito un pensiero così feroce, base dell’inquisizione. Sarpi fa dire il medesimo a papa Adriano; nella forma vi penetra una energia e una precisione di colorito, che ti rende la cosa nella sua crudeltà e insieme nella sua ragionevolezza. Ci è la cosa come sentimento e come idea. «Se non potranno con le dolcezze, dice Adriano a’ principi tedeschi, ridur Martino e i suoi seguaci nella dritta via, vengano ai rimedii aspri e di fuoco, per risecare dal corpo i membri morti». Si vede nel Pallavicino la vanità della forma nella indifferenza del contenuto; si vede nel Sarpi l’importanza del contenuto nella indifferenza della forma, una forma che è il contenuto stesso nel suo significato e nella sua impressione. Trovi in lui una elevatezza d’ingegno, che gli fa spregiare i lenocinii e gli artifizii letterarii, una viva preoccupazione delle cose, una chiarezza intellettiva accompagnata con un vigore straordinario d’analisi, e quel senso della misura e del reale che lo tiene sempre nel vivo e nel vero. Aggiungi l’assoluta padronanza della materia, la conoscenza de’ più intimi secreti del cuore umano, la chiara intuizione del suo secolo e della società in mezzo a cui viveva ne’ suoi umori, nelle sue tendenze e ne’ suoi interessi, e si può comprendere come sia venuta fuori una prosa così seria e così positiva. L’attenzione volta al di dentro, e non curante della superficie ti forma una ossatura solida, una viva logica, maravigliosa per precisione e rilievo, ma scabra e ruvida. Manca a questa prosa quell’ultima finitezza, che viene dalla grazia, dalla eleganza, dalle qualità musicali. È il difetto della sua qualità più spiccata in lui, non toscano e con l’orecchio

 De Sanctis ― Lett. Ital. Vol. II 19