Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/317

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sue conseguenze anche negli ordini politici. Sorge uno spirito di critica e d’investigazione, che non tien conto di nessun’autorità e tradizione, e fa valere il suo scetticismo in tutti i fatti e i principii tenuti fino a quel punto indiscutibili, come un assioma. Bayle è là, con la sua ironia, col suo dubbio universale. Come Locke realizzava il Cogito, egli realizzava il De omnibus dubitandum. E chi paragoni il suo Dizionario con le Raccolte italiane, può vedere dov’era la vita e dov’era la morte. Che faceva l’Italia innanzi a quel colossale movimento di cose e d’idee? L’Italia creava l’Arcadia. Era il vero prodotto della sua esistenza individuale e morale. I suoi poeti rappresentavano l’età dell’oro, e in quella nullità della vita presente fabbricavano temi astratti e insipidi amori tra pastori e pastorelle. I suoi scienziati, lasciando correre il mondo per la sua china, si occupavano del mondo antico e scrutavano in tutti i versi le reliquie di Roma e di Atene; e poichè le idee erano date e non discutibili, si occupavano de’ fatti, e non potendo essere autori, erano interpreti, comentatori ed eruditi. Letteratura e scienza erano Arcadia, centro Cristina di Svezia, povera donna, che non comprendendo i grandi avvenimenti, de’ quali erano stati tanta parte i suoi Gustavo e Carlo, si era rifuggita a Roma co’ suoi tesori, e si sentiva tanto felice tra quegli Arcadi, ch’ella proteggeva, e che con dolce ricambio chiamavano lei immortale e divina. Felice Cristina! e felice Italia!

L’inferiorità intellettuale degli italiani era già un fatto noto nella dotta Europa, e ne attribuivano la cagione al mal governo papale-spagnuolo. Gli stessi italiani aveano oramai coscienza della loro decadenza, e non avvezzi più a pensare col capo proprio, attendevano con avidità le idee oltramontane, e mendicavano elogi da’ forestieri. Giovanni Le Clerc scriveva anno per anno la

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