Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/379

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E Megacle, seguendo l’amico Licida nella sua sventura, esce in questo bel paragone:

«Come dell’oro il fuoco
Scopre le masse impure,
Scoprono le sventure
De’ falsi amici il cor.

Questi riposi musicali sono come l’arpa di David, che calmava le furie di Saul, rinfrescano l’anima e la tengono in equilibrio fra passioni così concitate. E sono sopportabili, appunto perchè mescolati co’ moti più vivaci, con la più impetuosa spontaneità del sentimento, offrendoti lo spettacolo della vita nelle sue più varie apparenze. Argene che sfida la morte per salvare l’amato, e si sente alzare su di sè, come invasata da un Iddio, è sublime:

Fiamma ignota nell’alma mi scende;
     Sento il Nume; m’ispira, mi accende,
     Di me stessa mi rende maggior.
Ferri, bende, bipenni, ritorte,
     Pallid’ombre, compagne di morte,
     Già vi guardo, ma senza terror.

Commovente è la gioia quasi delirante di Aristea nel rivedere l’amato. Di un elegiaco ineffabile è il canto di Timante, quando la madre gli presenta il suo bambino:

Misero pargoletto,
          Il tuo destin non sai.
          Ah! non gli dite mai
          Qual era il genitor.
     Come in un punto, o Dio,
          Tutto cambiò d’aspetto!
          Voi foste il mio diletto,
          Voi siete il mio terror.

Alcuni motti tenerissimi sono rimasti proverbiali, come: