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soni, i Masi, i Canino, gli Sterbini, i d'Azeglio ed i Zauli-Saiani.

E quantunque, come dicemmo, quasi tutti i promotori fossero estranei a Roma, non è perciò da doverli ravvolgere tutti in un fascio, quasi che fosser tutti cospiratori. Dio ce ne guardi. Sappiamo, e il sappiamo di certa scienza, che non pochi giovani colti, e di un sentire nobile, generoso, e proclive alla beneficenza, furon colpiti siffattamente dalla soavità dell’atto di amnistia, che si dedicaron tutt’uomo a favorire le dimostrazioni al Santo Padre, ma il fecero di proprio moto, senza fine secondario, e scevri da qualunque influenza che venisse dall’estero, o che fosse connessa con un piano da altri preconcetto.

L’effervescenza giovanile poi risvegliava e nutriva in essi vergini speranze di sociali miglioramenti, e di benessere si fisico, come morale.

E le speranze di questi beni che così vivamente linfbcolavano le loro giovanili immaginazioni, tanto più venivano rinvigorite, quanto meno sembrava loro essere state sentite e caldeggiate nei pontificati decorsi. La virtù non mancò in tanto svolgimento di affetti e di passioni. E se vi fu della poltiglia e del lezzo, vi fu ben anco dell’oro puro, e queste sostanze così fra loro difformi non possono e non devono andare insieme confuse.

Il molto che abbiam detto per chiarire tuttociò che alle dimostrazioni si riferisce, trova la sua esplicazione nel nostro desiderio, e nel dovere che c’incombe di tributare ad ognuno ciò che di diritto gli appartiene, e quindi abbiam voluto purgare i Romani dalla taccia, fondata sulle apparenze, di esserne stati essi i promotori.

Che se l’inganno è sempre vituperevole, lo è a mille doppî quando viene ordito contro chi, come il sommo pontefice Pio IX, presentavasi circondato dall’aureola di tutte le più sublimi virtù innestate in un cuor generoso, onorato e gentile.

Abbiamo provato bensì che i Romani vi si associarono