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L’andamento delle cose in Roma ciò non ostante era di una natura anormale, perchè non poteva dirsi assolutamente che volgesse in male, ma neppure ci vedevi nn bene deciso; perchè nello insieme un non so che di misterioso e d’inesplicabile trapelava.

Quella spensieratezza in tutti, quel poetico entusiasmo, che sì bene si addice nelle accademie, e sì male nell’andamento degli affari che trascuravansi e quasi tenevansi a vile, e quella non curanza degli usi della vita civile e consueta, non ti lasciavano veder chiaro.

Il papa sempre esaltavasi. Esso solo il grande, il pietoso, il clemente, il sommo, il munificentissimo, il sapientissimo, l’immortale. Avevano già gli esagerati con fini inonesti, i moderati con troppo sdrucciolevole facilità, votato il sacco degli epiteti superlativi per estollere il nome e le gesta del sommo gerarca. Con tutto questo, guai se un atto qualunque non accetto alla rivoluzione veniva da esso emanato. Si dimenticavano allora i superlativi, e si poneva mano ai lamenti, alle accuse, e alle raoipogne.

Se n’ebbe un esempio in occasione della venuta in Roma di un tale Pelosi lucchese, al quale riuscì di traforarsi fra i popolani per insinuare idee allusive alla unione d’Italia. Venutane in cognizione la polizia, gl’intimò lo sfratto immediato, e da ciò si prese argomento di querimonie verso la polizia, il governo e lo stesso pontefice.

Tuttociò dava agli applausi un’apparenza di fuoco di paglia, dacché bastava il più lesero soffio per ispegnerne la fiamma. Ciò accadeva in sui primi mesi dell’anno incominciato, e non poteva non tener gli animi dei più assennati incerti e sospesi.

Intanto il Contemporaneo, ch’ebbe vita appunto nel gennaio 1847, attraeva colle sue prime pubblicazioni la seria attenzione, e la simpatia dei Romani, al punto ch’esaurita la prima edizione, perchè tutti volevano abbonarvisi, con-

    ristretto della predica nel Documento n. 13, volume II, e fra le stampe e litografie, sotto il n. 10 A, il disegno colorato esprimente il fatto.