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avventati fra le tenebre delle congreghe segrete, possiamo piuttosto supporre che dichiarare.

Risulta però da una rivelazione importantissima fattaci recentemente da un affigliato alla Giovane Italia, e che racconteremo meglio in appresso, che questo partito non istavasene già colle mani alla cintola, ma che, sia ricevendo la imbeccata dai rifuggiti all’estero, sia agendo di proprio moto, era in una costante operosità anche in Roma.

Queste pratiche o preparamenti ebber luogo, senza dubbio, nel giugno del 1846, e quindi erano isocrone colle pratiche dei Bolognesi e degli altri popoli delle Romagne, di cui abbiamo di sopra discorso.

Ed intanto apparisce che i due partiti coll’iniziare l’agitazione, ciascuno coi propri mezzi, tendevano ad un fine opposto. Perchè il primo accontentavasi di un governo papale ammodernato, il secondo andava diritto e reciso alla repubblica unitaria italiana.

Diffidenti fra loro cercavan quei del primo partito di prendere l’iniziativa del movimento, quasi temendo di farsi dagli altri antecedere.

Ritenendoli eccessivi troppo nei desideri, o imprudenti e rischiosi nella scelta dei mezzi, posero mente alla necessità di tenerli in briglia e scansarli, per timore che colle loro improntitudini non guastassero l’opera loro. Mentre quei del partito più arrischiato, mostrando fiducia più ardente e fervorosa nei propri mezzi, lasciavan dire agli altri, e intanto ascosamente operavano. Nel di poi delle battaglie sarebbesi veduto in chi fosse per ricadere la palma e gli onori del trionfo vincendo. A cose perdute, non mancan mai i partiti di lacerarsi a vicenda, l’uno addossando all’altro la colpa della sconfitta.

In tanta confusione d’idee e di principi, quanta può esisterne negli uomini della rivoluzione, riesce assai malagevole il determinare nettamente qual cosa si volessero e con quali mezzi; ma non ostante ci sembra di poter rilevare che il liberalismo italiano era diviso in tre sezioni.