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della rivoluzione di roma 211

Ritornando ora alle cose lombarde diremo che in seguito della insurrezione di Milano e dell’ingresso dei Piemontesi in Lombardia, quella parte d’Italia trovossi posta in istato di guerra, nella quale volevano prender parte ancora i nostri.

Parlammo nel capitolo precedente degli armamenti e della partenza delle soldatesche pei confini dello stato pontificio, secondo la mente del papa; ma questa ch’era la mente di Pio IX, non era la mente dei generali preposti alla spedizione i quali eran partiti da Roma coll’intendimento non già di arrestarsi al confine, ma sì bene di marciare alla volta della Lombardia.

Non istaremo qui a ridire le particolarità che riguardano la partenza, il passaggio per le varie città e le ovazioni che ricevetter per via le truppe regolari e i volontari pontifici; chè i diari di quel tempo ne possono dare abbastanza contezza a chi fosse desideroso di consultameli.

Questo solo rammenteremo che il general Durando, giunto che fu in Bologna, emise il 5 di aprile un ordine del giorno il quale conteneva le seguenti espressioni:

«Il santo pontefice ha benedetto le vostre spade che unite a quelle di Carlo Alberto, devono concordi muovere all’esterminio de’ nemici di Dio e d’Italia.»1

Comprende ognuno che per nemici di Dio e d’Italia secondo il Durando volevansi indicare gli Austriaci. Il Santo Padre però, cui sopra ogni altro era sommamente cuore il tenersela con tutti, non poteva al certo approvare che un suo mandatario si facesse lecito un linguaggio sì compromettente, tanto più che ad esso non costava di aver mai benedetto nè spade, nè fucili, nè bandiere per servirsene ad esterminio di chi che sia.

Difatti, comechè non avesse del tutto le mani libere per far porre nella gazzetta cose che potessero dispiacere ai

  1. Vedi vol. V, dei Documenti, n. 17.— Vedi l’intero ordine del giorno del generai Durando nel Sommario sotto il n. 19.