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giura del luglio 1847. Si raffrontino l’iscrizioni, si leggano attentamente le relazioni di queste feste, e si riconoscerà provenire tutte da un sorgente istessa, ed esser quindi giuste le nostre osservazioni.

Avendo parlato abbastanza delle cose di Oriente che con quelle di Roma compenetravansi per intimità di rapporti, ritorniamo ora a parlare della nostra Roma ove si era alla vigilia di grandi cambiamenti. Tutto era ivi confusione e incertezza, perchè la subita trasformazione degli stati Italiani in monarchie temperate, aprendo l’adito agli oratori di farsi sentire e agli scrittori di farsi leggere; e lo stato della Francia che già presentava le prime fiamme dell’incendio imminente, eran tali cose che mentre schiudevano il cuore degli uni alle seducenti speranze, tenevan gli animi degli altri agitati e sospesi.

Che le costituzioni di Napoli, di Piemonte e di Toscana fosser largite spontaneamente, o violentemente estorte poco monta pel caso nostro: ma è chiaro che circondati come eravamo dal costituzionalismo negli stati limitrofi, Roma ch’era stata l’iniziatrice del movimento italiano, non poteva esimersi dal dare la costituzione ancor essa. E ciò tanto più era probabile, quanto più gli animi eransi riscaldati; e molti credevano e dicevano apertamente che speravamo prossimamente di vedere annunziata la promulgazione di uno statuto in Roma. Queste speranze poi essere, dicevano, doppiamente fondate, dacchè il pontefice stesso aveva già eletto la commissione (da noi poc’anzi rammemorata) per istudiare il modo e le forme con che si dovea proporre.

E tanto se ne parlava dai così detti campioni del partito moderato il Farini, il d’Azeglio, l’Orioli, il Mamiani, e lo Armandi, che a poco a poco molti restii vi si venivano acconciando, non esclusi alcuni anche al clero appartenenti. Dagli uni poi sostenevasi la opportunità, dagli altri vedevasi in tutto ciò una necessità, ma una necessità forzata. Di ciò tratterremo più diffusamente fra poco i nostri