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Si discoperse allora che vi erano dodicimila scudi nella cassa militare, e con questi si convenne di effettuare la partenza il giorno 28.

I preparativi di partenza essendo stati però scoperti, il generale veniva circuito e distolto dai capi del movimento. Affacciava quindi esso altre difficoltà circa i carri ed altri mezzi di trasporto inservienti all’uopo.

Già la sera del 27 parlavasene nei circoli, già alcun estero agitatore ad opera vasi per attraversare la partenza, e gli stessi onesti e pacifici abitanti di Bologna incominciarono a manifestare la loro avversione alla partenza, temendo che trovandosi privi d’un presidio sì incoraggiante, seri disordini sarebbero occorsi.

Si richiese allora e si ottenne almeno una dilazione di ventiquattro ore, la quale con segni di esultanza venne festeggiata. Il generale stesso cercò di atterrire monsignor Bedini col timore della opposizione che da ogni parte rivelavasi in città.

La direzione di polizia proibì di somministrar cavalli per gli Svizzeri.

Riconobbesi allora nella implorata dilazione un mezzo per creare impedimenti, e i fatti lo comprovarono. Il prelato insisteva per la partenza immediata, ed il generale Latour vi si opponeva. Dopo lunga lotta venne decisa la partenza senza nè carri nè cavalli. Ma ecco sollevarsi di nuovo nel generale gli scrupoli di una vasta sollevazione, e di una carnificina. Il prelato dall’altra parte tenendosi rinchiuso, nulla poteva da per se stesso verificare.

Un proclama del 28 del preside di Bologna Berti Pichat di carattere misterioso e allarmante, venne a porre in orgasmo quella popolazione. Ne profittò subito il generale Latour per esporre a monsignor Bedini il pericolo ognor crescente di vicini tumulti. Fu esortato il generale a non permettere attruppamenti, ma egli nulla fece per impedirli; che anzi fermaronsi appunto sotto le sue stesse finestre. Nella notte poi si riseppe che il colonnello Kaiser di suo ordine inviato a Forlì per preparare alla partenza