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Ritornando ora agli avvenimenti del 1848 diremo, che disfatto Carlo Alberto dalle armi austriache, quelle voci smodate che udivansi prima in lode esagerata di lui, convertironsi a poco a poco in acerba rampogne e in accuse brutali di viltà e di tradimento. Nelle quali non sappiamo se sia più biasimevole la falsità e la ingiustizia, ovvero la slealtà e la ingratitudine. E questa giunse al punto da suggerire per odio di parte il nero tradimento del generale Ramorino, il quale, secondo tutte le apparenze e le risultanze del processo, mancò ai suoi doveri disertando il posto e lasciando in balia del nemico il libero ingresso nel suolo piemontese. Di ciò però, meglio quando parlerassi della seconda campagna.

Noi alludiamo per ora a quelle grida di biasimo che udironsi dopo l’armistizio Salasco, e fino all’epoca di cui parliamo.1 E chi pronunziavale, e da chi partivano? Dai repubblicani i quali credendo venuta la lor volta, alzarono la cresta, e vilipesero e affogaron nel fango delle loro contumelie il campione armato dell’italico risorgimento. Nè contr’esso soltanto limitaronsi, ma ne furon larghi verso le due lancie spezzate del piemontismo, l’abate Gioberti ed il marchese Massimo d’Azeglio, designati entrambi, secondo l’andazzo del giorno, come codini. Ciò valga per rammentare qual sia la unione degl’Italiani, e quali le loro inconseguenze.

Nell’avere noi parlato dell’apparenze ambiziose di Carlo Alberto per farsi re d’Italia, non abbiamo inteso di erigerci in giudici, nè di pronunziare la nostra sentenza definitiva su questo subietto. Sibbene volemmo mettere in sodo una verità storica che incominciava a palesarsi sotto non dissimulate apparenze, e che gli avvenimenti posteriori potranno forse o distruggere o convalidare ancor meglio. Stabiliamo bensì due cose, e queste crediamo di poterle sostenere. La prima, essere stata ingiusta la nota di tradi-

  1. Vedi Cibrario opera citata pag. 53 e 55.