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nerale Zucchi con atto sottoscritto da tutti e sei i membri che componevanla. Eccone le precise parole:

«La Commissione provvisoria di governo pone il generale Carlo Zucchi in istato d’accusa, ed ordina alle autorità tutte dello stato, e a qualsivoglia altra persona, che in qualunque luogo del territorio egli si presentasse, venga tosto arrestato e tradotto in Roma dinnanzi al tribunale competente.»1

E così per le stesse esorbitanze d’idee veniva pugnalato il Rossi, bruciato in effigie Massimo d’Azeglio in Livorno, esecrato e maledetto il Gioberti, e posto in istato di accusa il generale Zucchi, che furon quattro campioni famosi nel movimento italiano. E questa è storia.

Di che poi fosse reo il Zucchi vorremmo saperlo. Forse il suo delitto fu quello di essere rimasto fedele al suo padre, che come cattolico era il papa, ed al sovrano di Roma che lo scelse per suo ministro, e quindi coll’atto del 27 novembre lo creò uno dei sette che costituir dovevano la Giunta provvisoria di governo. La condotta del Zucchi fu coerente ai principi d’onore che animar devono tutti, ma i soldati in ispecie. E se era delitto nel Zucchi l’obbedire al papa, lasciamo che ognun giudichi quanto fossero ipocrite quelle assicurazioni di volersi riconciliare con questo. Si puniva, come reo di fellonia, chi al pontefice obbediva e non aveva mai preso parte col governo usurpatore.

La verità è che si voleva impiantare la repubblica, e agli occhi di chi questo voleva, era delitto ogni parola, ogni atto che ne attraversasse il disegno. Al punto in cui eran le cose alla fine di gennaio, le disposizioni per la repubblica eran già prese, le elezioni si conoscevano, e non mancava se non una settimana alla sua attuazione. Ad assicurare quindi anche un valido appoggio per parte della milizia, si fece venire in Roma il primo reggimento

  1. Vedi il Monitore del 30 gennaio, n. 1. — Vedi la Pallade del 31, n. 459.