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continuassero con ogni sorta d’artifizi a cospirare ed ingannare le moltitudini per rovesciare il civil principato del romano pontefice.

Rammenta le prime concessioni, e le agglomerazioni di popolo consigliate e preordinate dal partito avverso sotto il pretesto di rendimento di grazie, e gl’inutili sforzi per impedirle. Enumera inoltre alcuno degli atti governativi a questo effetto emanati. Rammenta come le concessioni dei primordi del suo pontificato mai non potessero mettere radice, e farne assaporare i frutti ai beneficati, perchè gli spertissimi artefici di frodi abusavano delle stesse concessioni per suscitare nuovi torbidi.

Parla della immaginaria congiura contro il suo governo e contro i liberali (15 luglio 1847); come servironsi di essa a pretesto per attuare ed armare la guardia civica; e come fosse scelto appunto quel moto tumultuario di comporla e raffazzonarla, affine di potervi incastrare que’ torbidi elementi che volevansi escludere, e rendere così impossibile di provvedere alla sua retta istituzione e disciplina.

Ricorda la concessione della Consulta di stato; come si spargesse ad arte ch’essa fosse tale istituzione da far cangiare l’indole e la natura del governo pontificio; e che appunto nell’intendimento di distruggere in sul nascere sì erronea dottrina, pronunziasse parole assai chiare (il 15 novembre 1847) al cospetto di taluni che accompagnavano i Consultori, ed a’ quali credette dover dare un cosiffatto avvertimento.

Rammenta gli allarmi immaginari di una guerra esterna suscitati nel gennaio 1848, il terrore degl’incanti, e le insinuazioni degli insidiatori i quali spargevano che per la maliziosa inerzia dei governanti si fomentasse e sarebbesi sostenuta una guerra siffatta: come ancora per tranquillare gli animi emettesse il motu-proprio del 10 febbraio, che ne dichiarava l’assurdità, ed assicurava i popoli che in tal caso innumerevoli figli sarebber volati a difendere la casa del padre comune.