Pagina:Storia della rivoluzione di Roma (vol. III).djvu/393

Da Wikisource.

della rivoluzione di roma 389

Accennava poi al furore popolare concitatosi ad artè contro i Gesuiti ed altri religiosi, nel marzo; ed il niun effetto prodotto dalle parole che indirizzò al popolo per impedire la loro dispersione.

Rammentava T atto del 30 marzo col quale, in seguito ai ben noti commovimenti d’Italia e d’Europa, esortava i popoli a rispettare le libertà della Chiesa cattolica, e tenere per certo che Dio darebbe a conoscere essere Lui solo il dominatore dei popoli.

Parlava dello Statuto costituzionale accordato il 14 di marzo; ed ognuno di voi ben sa (diceva ai cardinali) come in Italia sia stata introdotta la forma di governo costituzionale, e come sia venuto alla luce nel giorno 14 marzo dello scorso anno lo Statuto da Noi concesso ai nostri sudditi.

Intanto il governo calunnia vasi sempre, e rappresentavanlo siccome inerte, ingannatore e fraudolento; e racconta perfino il Santo Padre come in una notte se gli proponesse la proclamazione della repubblica.

Parla poi della guerra, e del desiderio dei novatori di trascinarlo a prendervi parte, sebbene esso avesse da Dio autore di pace e di carità la missione di amare con paterno affetto indistintamente tutti i popoli, tutte le genti e nazioni, e di procurare per quanto è da Noi (diceva) la loro salvezza, non già di spingerli alle stragi e alla morte. Richiama quindi alla memoria la sua allocuzione del 29 di aprile, ed il suo rifiuto alla offerta fattagli in voce e in iscritto di presiedere al governo di una certa repubblica italiana.

Rammenta poscia i commovimenti che ne seguirono, e la imposizione di un civil ministero (quello del Mamiani), ed il progetto di separazione del civil principato dal potere spirituale.

Rammemorava inoltre il ministero che succedette (quello del conte Fabbri) e poi l’altro (del Rossi), gli sconcerti seguiti fino alla tentata invasione del Quirinale (16 novembre), e la necessità in cui trovossi di allontanarsi da