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vare, come suol dirsi, capra e cavoli, ristabilire in Roma un governo più regolare, impedire riazioni violente, opporsi al ritorno del pretto assolutismo.

Diceva il presidente del Consiglio spiegando nella seduta del 9 maggio l’oggetto della missione affidata al Lesseps: «Io vi dichiaro che fintanto che avrò in mano una parte del potere in questo paese, le armi della Francia non serviranno a restaurare abusi impossibili1 E soggiungeva: «Egli è partito con la raccomandazione espressa di mettersi immediatamente in comunicazione col governo, di tenerlo al corrente, giorno per giorno, di tutti gl’incidenti che possano sopraggiungere, e con V istruzione formale d’impiegare tutta l’influenza che può avere per far uscire dal nostro intervento garanzie serie e reali di libertà per gli Stati romani.2

Nelle istruzioni rimesse al Lesseps dal ministro degli affari esteri tra le altre cose dicevasi:

«Lo scopo che ci proponiamo è nel medesimo tempo di sottrarre gli Stati della Chiesa all’anarchia che li desola, e d’impedire che il ristabilimento di un potere regolare siavi attristato ed anche compromesso in avvenire da una cieca reazione. . . . . . . Bisogna che vi astenghiate da tutto ciò che potrebbe dar luogo agli uomini investiti in questo momento, negli Stati romani, dell’esercizio del potere, di credere o di far credere che li consideriamo come un governo regolare, ciò che loro darebbe una forza morale di cui sono stati fino ad ora sprovvisti. Bisogna, negli accomodamenti parziali che voi potrete concludere con loro, evitare ogni parola, ogni stipulazione capace di risvegliare le suscettibilità della Santa Sede e della conferenza di Gaeta, troppo facili a credere che noi siamo disposti di fare buon mercato dell’autorità e degli interessi della corte di Roma.»


  1. Vedi Lesseps, Ma mission ec., pag. 19.
  2. Vedi Lesseps, Ma mission ec., pag. 19.