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rito, e del quale diremo quel poco che sappiamo, e che possiamo documentare.

Il fatto in discorso è un tentativo di Garibaldi per penetrare nel regno di Napoli, sia che volesse esplorarne le condizioni o le disposizioni degli abitanti, sia che intendesse introdurvi il fuoco della rivoluzione.

Terminato il fatto di Velletri, nel quale, come si vide, il Garibaldi volle agire di proprio moto sottraendosi alle regole e agli ordini della militar disciplina, rientrarono in Roma le soldatesche parte il giorno 25, e parte il giorno 27 di maggio.1

Il Garibaldi però in compagnia di Masi recossi (è incerto se colla intesa o no del triumvirato) nel regno di Napoli, per la piccola città di Arce. Gli abitanti fuggirono, e gli avamposti napoletani voltaron le spalle; così racconta il Torre.2 Considerando però che quel paese era difeso da due fortezze di prim’ordine Gaeta e Capua, e che il general Nunziante con buon nerbo di truppa era per correrne alle difese, il triumvirato saviamente vista l’inutilità di tale spedizione, richiamò il Garibaldi.3

Il tristamente famoso Sterbini, che siedeva in quel tempo preside in Frosinone, volle darne l’annunzio con un atto che stante la sua brevità riportiamo:


«Repubblica Romana

» Notificazione.


» Si sapeva che alcune truppe napoletane stavano vicine al nostro confine: una falsa voce ne aveva ingrandito il numero. Il Generale Garibaldi ha voluto riconoscerle, e col suo solito ardire si è spinto entro il regno

  1. Vedi Monitore, pag. 506. - Vedi Pallade, 2. 549. Vedi Torre, vol. II, pag. 138.
  2. Vedi Torre, vol. II, pag. 138.
  3. Vedi Torre, vol. II, pag. 138, 139 140.