Pagina:Storia della rivoluzione piemontese del 1821 (Santarosa).djvu/8

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giustizia a ogni intenzione: e nelle amarezze dell’esilio non si lascia sfuggire nè risentimenti nè accuse. Ha l’entusiasmo d’una nobile causa portato fino alla generosità più sublime.

Quanto più si allontanava dalla patria, più si aumentavano i suoi dolori. Aveva lasciato donna e figli carissimamente diletti: e sopratutto lo pungeva acerbo il pensiero di non potere da sè stesso educarli al vero. Questo gli fu tormento per tutta la vita. “Temo (scriveva d’Inghilterra nel 1824) che se il re rende i miei beni alla mia moglie e ai miei figli, non voglia incaricarsi dell’educazione di questi. Io fremo all’idea che i miei figli siano allevati dai gesuiti. Questo è gran causa di pena al mio cuore.”

I suoi beni erano stati confiscati. I figli vivevano delle piccola dote materna, e con questa mandavano qualche soccorso all’esule padre. Ma egli non voleva esser grave ai suoi cari, e sceglieva piuttosto di vivere misera vita, e quasi senza pane.

Si riparò a Parigi, ove per non esser travagliato dalla sospettosa polizia prese altro nome. Chiamavasi Conti. Abitava una povera camera a tetto nel Quartiere Latino insieme con un amico di Torino, il quale senza essersi compromesso nella rivoluzione, avea abbandonato volontariamente la patria per essergli compagno nella sventura. Il che torna a gran lode di ambedue, e mostra quale uomo era quello col quale si preferiva l’esilio alle dolcezze della patria e della famiglia. Quelli che lo conobbero riferiscono cose maravigliose sulla bontà dell’animo suo, che sforzava tutti ad amarlo. E il Cousin, che lungamente lo conobbe e lo consolò di cure amorose, asserisce che è impossibile ritrarre la grandezza e l’amabilità di quell’anima. Accoppiava la forza alla bontà, l’energia alla tenerezza. Il suo cuore era un tesoro di affetti. Se incon-