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168 Storia dell’Arte presso i Greci

veva ai tempi di Fidia1. [Learco Doriclida e Donta
Tetteo ed Angelione]
Furono loro scolari Learco2 di Reggio nella Magna Grecia, Doriclida3 e Donta4 amendue lacedemoni, Tetteo ed Angelione, che fecero un Apollo a Delo5, forse quello stesso di cui alla fine dello scorso secolo si vedevano alcuni pezzi nell’isola medesima colla base e colla famosa iscrizione. Essendo stata lavorata intorno a questi tempi e non prima, come più sotto vedremo, dallo scultore Batticle [Batticle] di Magnesia6 la tazza d’oro, che i sette savj dedicarono in Delfo ad Apollo, dobbiamo inferirne, che il mentovato artista, scultore de’ bassi-rilievi nel trono della statua colossale d’Apollo in Amicla7, siorisse ai tempi di Solone, cioè nell’olimpiade xlvi., in cui il legislatore d’Atene era arconte nella sua patria8.

[Aristomedonte, Pittodoro, e Pittodoro]

§. 5. Devono fissarsi a quest’epoca Aristomedonte di Argo9, Pittodoro di Tebe10, e Pittodoro di Messene11, il quale fece ad Egio nell’Acaja una Giunone Lucina di legno, che aveva di marmo12 la testa, le mani, e i piedi13,


e avea


  1. Dipeno e Scillide, secondo il calcolo di Plinio lib. 6. c. 4. sect. 4. §. 9., nacquero in Creta circa l’olimpiade l. A giudizio del medesimo furono essi i primi che siensi renduti celebri nello scolpire il marmo. Opere eccellenti dei loro scarpello surono le statue d’Apolline, di Diana, di Minerva, di Castore e Polluce, e di più altre divinità, Plin. l. cit., & Clem. Alex. Cohort. ad Gent. n. 4. p. 42., tutte lavorate in marmo pario, Plin. lib. cit. cap. 5. sect. 4. §. 2. Portatisi amendue a Sidone, città che per lungo tempo è stata la patria della scultura, ebbero da que’ cittadini la commissione di fare alcune statue de’ loro dei. Non era peranco terminata l’opera che, per un torto ricevuto, ritiraronsi presso gli Etolj. Non molto dopo una fiera carestia con altri mali venne a travagliare i Sicionj, i quali in tale frangente ebbero ricorso ad Apolline Pitio, implorandone ajuto e consiglio. Seppero i due offesi scultori far parlare a loro vantaggio l’oracolo, il quale perciò rispose che non avrebbe egli abbandonati i Sicionj, se Dipeno e Scillide avessero terminate le incominciate statue degli dei. Tanto bastò, perchè fossero i medesimi non solamente risarciti nell’onore, ma ezandio rimeritati con ampia mercede.
  2. Questo Learco da alcuni, presso Pausania lib. 3. cap. 17. pag. 251. in fine, fu creduto scolaro di Dedalo, ed autore di quel Giove di bronzo presso gli Spartani, composto di vari pezzi uniti insieme sì fortemente con chiodi da non potersli i medesimi in verun modo staccare, [come già Winkelmann ha notato sopra pag. 34.princ. ]. Tale statua vantavasi per la più antica di quante siensi formate in quel metallo.
  3. Paus. lib. 5. cap. 17. pag. 419.
  4. idem lib. 6. cap. 19. pag. 500. in fine.
  5. idem lib. 2. cap. 2. pag. 32. lin. 30.
  6. V. Freret Recherch. sur l’ancienneté & sur l’orig. de l’art de l’équit. des anc., Acad, des Inscript. Tom. VII. Mém. pag. 296.
  7. Paus. lib. 3. cap. 18. pag. 255.
  8. Scalig. Animadv. in Eus. chron. p. 87. Laerzio lib. 1. segm. 62., Meursio in Solone, cap. 10. over. Tom. iI. col. 266.
  9. Paus. lib. 10. cap. 1. pag. 801.
  10. idem lib. 9. cap. 34. pag. 778. lin. 26.
  11. Paus. lib. 7. cap. 2. pag. 582. in fine. [ Vedi Tomo I. pag. 30. n. 1.
  12. ibidem.
  13. Le parti di legno di questa statua tenevansi coperte con un sottilissimo velo, come ci avvisa l’istesso Pausania, che fa menzione