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320 S t o r i a   dell’A r t e   greca

[Monumenti di questi tempi.] §. 16. Oltre la mentovata tazza che con verosimiglianza dir si può di questi tempi, altre opere ci restano che lo sono indubitabilmente. Tali sono due statue di re prigionieri in Campidoglio, e fors’anche la creduta statua di Pompeo Magno nel palazzo Spada.

[Statue di due re prigionieri...]

§. 17. Le due prime sono belle statue di marmo nero, e rappresentano due re traci, di que’ Traci medesimi, che Scordisci chiamavansi1, e che al riferir di Floro2, furon fatti prigionieri da Marco Licinio Lucullo fratello di colui che fu sì rinomato per la sua splendidezza e prodigalità. Inasprito egli per la replicata perfidia di que’ popoli, fece ad ambi i loro re mozzar le mani, ad uno fin sopra ii gomito, e all’altro sopra il polso, quali appunto sono nelle suddette statue3, e quali erano le figure degli schiavi sul


mau-


  1. Abitavano sull’Istro, o Danubio, Strabone lib 7. pag. 489. C.
  2. lib. 3. cap. 4.
  3. Se Lucio Floro parlasse così chiaramente, come lo fa parlare Winkelmann, dopo l’abate Francesco Valesio in una Dissertazione particolare inserita nei Saggi di dissert. dell’Accad. di Cortona, Tom. I. n. X. p. 105. segg., non vi sarebbe più dubbio intorno al soggetto delle dette due statue. Ma egli parla in maniera da farci credere tutto l’opposto. Non dice che fossero fatti schiavi due re di que’ popoli traci, nè che fossero a uno tagliate le mani, all’altro le braccia. Scrive soltanto che i Romani nella guerra contro di loro non trovarono pena più sensibile per atterrirli, che di tagliar le mani a quanti prigionieri ne facevano, rimandandoli poi così a vivere infelicemente nei proprj paesi. Eppure le statue rappresentano persone reali, come si conosce dal diadema, e da una certa dignità della persona. Cade pertanto il fondamento principale di questa opinione. A ciò si aggiunga, che la faccia serena del volto di quelle figure non dà verun indizio di aver sofferto simil tormento; e il taglio delle mani per una, e delle braccia sin sopra il gomito per l’altra a considerarlo da vicino non può far credere, che sia stato fatto per indicare un castigo. La forma dell’abito di quella, che daremo in fine di questo Tomo, Tavola VIII., rassomiglia alle figure di due Traci, o Sciti, prigionieri scolpiti su quella patte della colonna trionfale dell’imperator Teodosio, di cui si parlerà nel Libro XII. Capo iiI. §. 7., data in rame tra gli altri dal Bandurio Imper. orient. Tom. iI. par. 4. Tubula 18. pag. 581. Ma questi sono soldati, o persone private. Il re, e le persone principali, che si vedono su carri di trionfo nella Tavola 5. e 6., hanno abiti affatto diversi.
    Non crederei meglio provata l’opinione di monsignor Braschi, che in una lunga differtazione latina, per altro eruditissima, vuol provare che quelle statue rappresentino Siface, e Giugurta, re numidi, come già notammo alla prefazione del nostro Autore nel Tomo 1. pag. xxvij. not. a. Egli equivoca primieramente nel dire che siano di basalte, mentre sono di bigio morato. In secondo luogo la qualità delle veste, e del manto grande e pesante ornato di larghe frangie, con quei calzari, o piuttosto stivali, anch’essi grandi e pesanti, non convengono a! clima caldissimo della Numidia; siccome neppur la barba, e i capelli, che in quelle parti hanno corti, e ricciutelli, come si veggono a Massinissa, di cui parlammo qui avanti pag. !306. not. b., e ad un busto di Annibale in marmo esistente in casa Renzi nella Terra di s. Maria nel regno di Napoli, trovato nelle ruine dell’antica Capua, e dato in rame con un lungo ragionamento per illustrarlo dal signor Giuseppe Daniele in Napoli nell’anno 1781. Le congetture poi, che questo dotto prelato ricava rial la storia, non hanno alcun sodo fondamento.