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te Pitone, si figuri di vederlo in atteggiamento d’aver ucciso il gigante Tizio, atterrato da lui giovanetto ancora, quando tentò di far violenza a Latona sua madre1.



§. 14. Il


  1. Apollon. Argon. lib. 1. vers. 759. [ e Apollodoro Biblioth. lib. 1. cap. 4. §. 1. Si sono tanto impegnati gli eruditi per sapere il soggetto di questa statua, che per trovarne uno vi si fono ideate quali tutte le imprese d’Apollo. Oltre quelle, che nomina Winkelmann, altri hanno creduto ravvisarvi quel nume dopo avere scagliati i suoi dardi contro gli Achei, altri dopo la strage, che ci fece degli orgogliosi giganti, o di Niobe, e suoi figli, o dell’infedele Coronide, altri finalmente vi credono rappresentato Apollo come autor della medicina, o come averrunco, ossia slontanator de’ mali. A questa opinione, più che alle altre, anche da lui riferite, inclina il signor abate Visconti nella dotta, e bella spiegazione, che dà di quella statua nel Mus. Pio-Clem. Tom. I. Tav. 14., e crede potersi con probabilità sostenere, che sia della quella medesima opera di Calamide, menzionata da Pausania. lib. 1. cap. 3. pag. 9., che gli Ateniesi eressero ad Apollo dopo la cessazione d’un male epidemico ai tempi della guerra peloponnesiaca, come già notammo qui avanti alla pag. 214. n. a.
    A quale di tante opinioni dovremo noi attenerci? Nella vendetta contro gli Achei Apollo dovea rappresentarsi sedente, come lo rappresenta Omero Iliad. lib. i. vers. 48., o almeno fermo, e in atto di vibrar dardi, non di averli vibrati. Il serpe non avrebbe relazione a quello fatto; e troppo debole ragione farebbe il dire, che vi sta come un simbolo del nume. Forse che Apollo avea bisogno di un tal simbolo perpetuamente per essere riconosciuto? Cosi non conviene all’idea di Spence, nè alla morte dell’infedele Coronide, o alla vittoria contro il gigante Tizio, ed altri, o all’eccidio della famiglia di Niobe, per cui oltracciò sarebbesi richiesto un gruppo di molte statue, non una sola. I simboli, coi quali soleano rappresentarsi le figure di Apollo medico, e alessicaco, averrunco, ossia slontanator de’ mali, erano la figura delle Grazie nella mano destra, e le saette coll’arco nella sinistra, come attssta Macrobio Saturn. lib. 1. cap. 17., e quelli non veggonsi alla di lui statua in questione. Non sappiamo se li avesse quella di Calamide, ma anche senza questo argomento non ci permetterebbero giammai di riconoscere il di lui scarpello sul capo d’opera della morbidezza e della grazia, l’epoca, nella quale ci visse, cioè i tempi di Fidia, come si è fatto osservare alla detta p. 214. n. a., e la durezza dei di lui stile notata da Cicerone De clar. orat. cap. 1 8. num. 70., e da Quintiliano Inst. orat. lib. 12. cap. 10. Giunio dovea darci qualche prova della sua asserzione quando scrisse Catal. archit. ec. p. 42., che la detta statua di Calamide fosse la stessa, che quella trasportata in Roma, e posta negli Orti Serviliani, al dir di Plinio lib. 36. cap 42. sect. 4. §. 10. Pausania, che scrisse dopo di Plinio, al luogo citato la dice esistente ancora a’ suoi tempi in Atene, e non può sospettarsi col lodato signor abate Visconti, ch’ei parli d’una copia, anzichè dell’originale; poichè l’uso costante di quello storico è di avvertire se le statue erano copie, e di più moderna mano, oppure gli originali medesimi degli artisti; come lib. 9. cap. 27. pag. 762. scrive del famoso Cupido di Prassitele che non ne fosse rimasta in Tespi se non la copia fatta da Menodoro ateniese prima che l’originale venisse in Roma, come ho avvertito qui avanti pag. 339. n. e.; e così avea scritto l. 1. c. 22. pag. 51. di altre statue, che non erano le antiche, ma altre più moderne, e lib. 2. c. 19. pag. 152. di altre. Resta che parliamo della vittoria contro Pitone. La morte d’un rettile, che la natura destinò a strisciar per terra, non pare a molti soggetto abbastanza celebre, rispettabile, e degno d’esser immortalato con una statua, e molto meno con una statua di tanto merito. Ma se su un soggetto, che meritò l’ira d’Apollo, il quale da lui prese anche il cognome di Pitio, perchè non poteva esser degno di venir rappresentato in una statua? Il voler ciò negare, e il dire che non fosse troppo celebre la ricordanza d’un tal fatto, è un voler mostrarsi troppo addietro nella cognizione della mitologia, e dell’antica storia, onde rileviamo tutto l’opposto. La citta di Delfo per la morte di quello serpente a principio fu detta Pitone dal di lui nome, come narran Pausania lib. 10. cap. 6. pag. 812. princ., Eustazio Comment. in Iliad. lib. 2. §. 23. pag. 560. Tom. iI. Ivi fu quindi stabilito l’oracolo di Apollo Pitio, il più consultato, e il più famoso di tutta l’antichità, Strabone lib. 9. pag. 641. B, Livio lib. 1. cap. 21. num. 56., Imerio presso Fozio Biblioth. cod. CCXLIII. p. 1137., Hardion Prém. dissert. sur l’oracle de Delphes, Acad. des Inscr. Tom. iiI. Mém. pag. 138. Il tempio era il più ricco di quanti altri mai, e conteneva anche un numero sterminato di statue, principalmente di bronzo, come si è già osservato qui avanti pag. 355. §. 10., e può vedersi Strabone loc. cit., Filo-