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D i s s e r t a z i o n e |
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vare un compenso; e fu, come narra Paolo Diacono[1], di sfogare il suo mal talento contro degli stessi suoi sudditi romani. Venne dunque a Roma li 5. luglio dell’anno 663., ove dissimulandosi per prudenza la passata sua condotta fu accolto, e trattato nei dodici giorni, che vi si trattenne, dal Sommo Pontefice Vitaliano, dal Clero, e dal popolo con segni, e dimostrazioni di particolare stima, e rispetto. Frattanto che da ipocrita facea delle visite ossequiose alle principali chiese, o basiliche, offerendovi anche qualche dono[2], osservando le antiche maraviglie dell’arte, che v’erano rimaste, fece togliere quanto potè degli ornamenti, e lavori di bronzo, e perfino le tegole indorate, che coprivano il Panteon, già dedicato, come dicemmo, in tempio cristiano. Anastasio, e il detto Paolo Diacono, scrivono, che tutti finisse di portar via i lavori di bronzo, che v’erano rimasti[3]; e aggiugne il secondo, che volea mandarli a Costantinopoli: Omnia, quæ fuerant antiquitus instituta ex ære in ornamentum civitatis, deposuit, in tantum ut etiam basilicam B. Mariæ, quæ aliquando Pantheon vocabatur, & conditum fuerat in honorem omnium Deorum, & jam ibi per concessionem superiorum principum locus erat omnium Martyrum, discooperiret, tegulasque æreas exinde auferret, easque simul cum aliis omnibus ornamentis Constantinopolim transmitteret; ma, come riflette bene il Zanetti[4], se Costante avea fatto fermo proposito di non far più ritorno in quella regia città, ove sapeva di essere tanto mal veduto per le sue sceleraggini,
- ↑ De gest. Langobard. lib. 5. cap. 11.
- ↑ Anastasio nella vita di s. Vitaliano, sect. 135. pag. 131. seg.
- ↑ L’Alveri Roma in ogni ogni stato, par. 1. pag. 569. scrive, che portasse via anche le statue di marmo, e tutti i più belli ornamenti; ma questa è una delle solite inesattezze di quello scrittore; come è una esagerazione grandissima quella del Vasari nel proemio alle vite de’ pittori ec., pag. 154., ove dice, che Costanze guastò, spogliò, e portossi via tutto il resto, che non aveano guastato i Pontefici, e massimamente s. Gregorio; dopo aver detto senza provarlo, che Totila rovinò Roma a segno di farle perdere la forma, e l’essere stesso. Il Vasari merita fede nelle notizie del suo tempo, e del suo mestiere; ma non in quelle, che richieggono maggior erudizione di antica storia.
- ↑ Del regno de Longob. lib. 4. n. 23. Tom. iI. pag. 378. seg.