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cuocevano anche più volentieri li rottami delle statue, che erano sopra terra, o che si trovavano nel cavare fondamenti di case, e chi sa quante delle intiere si fecero a pezzi; o si cavava a quello fine nella città, e nelle vigne intorno per cavare statue sepolte fra le rovine, e trarre i marmi dai sepolcri: essendosi provato colla esperienza, che la calce fatta col marmo bianco, e coll’orientale in ispecie, era maravigliosa1.



Pare


    di Orazio Cocles. Da questa notizia noi ricaviamo due cose: primo il tempo preciso, in cui fu rovinato quasi affatto questo ponte, del quale veggonsi i vestigi a Ripa grande: e in secondo luogo, ch’esso era di travertino simile agli altri, non di marmo, come dicono gli antiquarj per lo più, al:uni de’ quali ho citati qui avanti pag. 310. n. a.; e il Marliano Topogr. urb. Romæ., lib. 5. cap. 14., ove dice, che a suo tempo vi esistevano ancora dei gran pezzi di marmo, avendo inteso per marmo il travertino. Questa opinione non ha altro fondamento, che il nome di ponte marmorato, come pare che dica il Fabricio Descr. urb. Romæ., cap. 16.: ex solido marmore fuit: unde aliquando pons marmoratus dictus est. Nessuno, che io sappia, è arrivato a capire, che il ponte si diceva marmorato, o mormorata, per la vicina marmorata, ossia lo scarico dei marmi, di cui parlammo alla pag. 260. Ce ne aflicurano due bolle, una di Benedetto VIII., che fu Papa dall’anno 1009. all’anno 1014., diretta a Benedetto vescovo di Porto, presso l’Ughelli Tom. I. in Episc. Portuens. col. 118., in cui descrivendosi li confini di quella diocesi, che arrivava sin dentro Roma, le si da per confine il ponte rotto presso la Marmorata, l’altro ponte di s. Maria, ossia il ponte Palatino, detto volgarmente Senatorio, ed ora ponte rotto; e il ponte dove abitavano gli Ebrei, vale a dire il Cestio, che dall’Isola metteva in Trastevere, ove gli Ebrei dimoravano: Incipiente primo termino, dice il Papa, a fracto ponte, ubi unda dividitur per murum, videlicet Transtyberinæ urbis, per Septimianam portam, per portam s. Pancratii.... remeante per medium flumen majus venit usque ad ramum fracti pontis, qui est juxta Marmoratam, inque ad medium pontem s. Mariæ, & ad medium pontem ubi Judæi habitare videntur. L’altra bolla è di Leone IX., che regnò dall’anno 1049. al 1054. anch’essa senza data, presso le stesso Ughelli, col. 124. A., confermatoria di quella, ripetendovisi le medesime parole; dalle quali oltracciò rileviamo, che al principio del secolo XI. erano rotti il detto ponte Sublicio, ossia d’Orazio Cocles, ma non intieramente; e il ponte Janiculense, detto oggi Sisto, da Sisto IV., che lo rifece, come costa dalla iscrizione, che vi si legge, e lo attesta l’autore della di lui vita presso il Muratori loc. cit. col. 1064. B., ed altri; e che il ponte Palatino, già si chiamasse di s. Maria, e fosse ancora intiero, come osservai alla pag. 61., che lo era nel 1313., caduto poi appresso, rifatto, e ricaduto. Trovo bensì nominato nelle dette bolle un ponte di marmo fuori di Roma, sopra il fiumicello chiamato Arrone, dentro i confini di quella diocesi, e detto nel territorio di Galera in un’altra bolla di Leone IX. inserita nel Bollario della basilica Vaticana, Tom. I. pag. 20. col. 2. Si parla dello stesso fiumicello, detto però Anone (come tale si dice nella citata bolla di Leone IX. presso l’Ughelli, forse per errore di stampa, o di amanuense, perchè Arrone si dice nell’altra bolla dello stesso Leone), e del ponte di marmo sopra di esso, in una carta di donazione fatta da s. Silvia al monistero di s. Andrea, ora di s. Gregorio al Monte Celio, nell’anno 603. li 19. maggio, riportata dal P. Mittarelli Ann. Camald. Tom. I. append. n. CXXXVII. col. 284. L’autore De mirabilibus Ramæ., presso il P. Montfaucon Diar. ital. cap. 20. pag. 284., e Pietro Manlio Hist. Bas. s. Petri, cap. 8. n. 166. pag. 54. fra i ponti di Roma nominano il ponte marmoreo di Teodosio, diverso da quello d’Anronino: ma io non so quale sia, e perchè quelli autori lo dicano di marmo, quando è certo che in Roma non vi è stato mai ponte tutto di marmo.

  1. Lo stesso guasto di statue per farne calce è stato fatto anche nei contorni di Roma, e ne’ paesi poco distanti. Alcuni anni sono furono trovate delle fornaci piene di lottami vicino a Ostia. E chi sa che queste calcare non siano state in quel luogo appunto, che nella bolla di Celestino III., citata