Pagina:Storia di Milano I.djvu/483

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Paragonando i due fratelli, pare che Barnabò avesse l’animo più forte, e Galeazzo fosse freddamente crudele. Il primo, abbandonandosi ad una collera brutale, era capace di ogni eccesso; l’altro lo era sempre, con maligna tranquillità. Barnabò dava gl’impieghi a persone che li sapessero eseguire, e sapeva tenersele affezionate e fedeli; Galeazzo, per denaro, dava le cariche a’ più inetti uomini. Barnabò era veridico e palesava i suoi sentimenti; Galeazzo non era definibile. Il primo incuteva spavento, l’altro diffidenza. Barnabò si fece scolpire in una statua equestre di marmo, e la collocò sull’altar maggiore di San Giovanni in Conca. Essa ivi si vede, ma non più sull’altare. Galeazzo pazzamente fece distruggere le peschiere, le pitture del Giotto, e tutte le belle cose ordinate da Azzone nel palazzo di corte, quae domus, diceva l’Azario, cum ornamentis et picturis et fontibus, hodie non fieret cum trecentis millibus florenis. Galeazzo faceva alzare un gran muro con molta spesa; poi, parendogli che stesse male, lo faceva demolire. Faceva delle vòlte assai grandi in mezzo del verno, e diroccavano poi; e i mattoni, le travi, la calce si prendevano, per suo cenno, ove trovavansi, senza parlare di pagamento. Galeazzo fabbricò il castello di Milano e quello di Pavia: Barnabò, quello di Trezzo. Nessuno di questi due atroci fratelli ebbe commensali, come solevano averne Azzone, Luchino e Giovanni. Costoro offendevano un numero sì grande di persone, che non era poi loro fattibile la scelta di alcuni fra’ quali passare giocondamente le ore. Barnabò pagava esattamente i suoi stipendiati, e non permetteva che facessero estorsioni; Galeazzo trascurava