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pene d’inobbedienza qualora mancasse; ma nè l’arcivescovo, nè i suffraganei vi si prestarono, e il concilio non si tenne1. Il papa chiamò l’arcivescovo a un concilio in Roma per il mese di maggio 879, e l’arcivescovo Ansperto non si mosse2. Spedì Giovanni VIII due suoi legati a latere all’arcivescovo cercandogli obbedienza, e citando la pratica antica; e l’arcivescovo non volle nè ascoltarli nè riceverli, ma li fece dimorare fuori della sua porta senza riguardo alcuno, di che quel papa si lagnò nella sua Epistola 196. Pretese il sommo pontefice che Ansperto, per la passata disobbedienza, fosse decaduto dalla dignità arcivescovile, e per ciò scrisse al clero di Milano, acciocchè, convocati i vescovi suffraganei, si passasse a nuova elezione, scegliendo fra i cardinali della santa chiesa milanese quello che fosse giudicato il più degno: Qui de cardinalibus presbyteris aut diaconis, dignior fuerit repertus, eum, Cristi solatio, ad archiepiscopatus honorem promoverent, come dalle Epistole 221 e 222. Ma alcuno non obbedì a quest’ordine, di che diffusamente tratta il conte Giulini, che sarà ne’ secoli bassi l’autore che io primariamente terrò a seguitare per la sicurezza dei fatti. Ciò non ostante papa Giovanni medesimo, in un’Epistola scritta nell’881, dopo tali fatti3, loda l’abate di un monastero, perchè fosse stato ossequioso verso l’arcivescovo Ansperto ed alla santa chiesa milanese: Fideli devotione, totoque mentis conamine, pro pristino statu et vigore atque restitutione sanctae Mediolanensis Ecclesiae, ter quaterque in obsequio Ansperti Reverendissimi Archiepiscopi tui

  1. Il conte Giulini, tomo I, pag. 381.
  2. Detto, tomo I, pag. 383 e seg.
  3. Detto, tomo I, pag. 385 e 411.