Pagina:Storia di Milano II.djvu/170

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il quale si esprime a tal proposito così: ma poco delle dicte cose curandosi il duca nostro, facea, como dice il proverbio, manco roba, manco affanni; et solo attendeva a piaceri; unde essendo venuto a Milano la moglie del marchese di Mantova con alquante sue zitelle, o per meglio dire ministre di Venere, tanto piacere de conviti e de balli e de altri che io non scrivo, se prendea assieme con lo effeminato vicerè di Spagna, che era una cosa a ogni sano judicio biasimevole, et non so se mi dica una parola, tuttavia, essendo dicta da Salomone nella Cantica, la posso dir anch’io: Veh tibi terra cuius rex est puer! Così il Prato. Ma chi è fanciullo a ventun’anni, non è giunto mai a diventar uomo. Questa scioperatezza dovea ricadere a danno de’ sudditi, ai quali forza era d’imporre maggiori aggravii; e non osandolo fare da sè il duca Massimiliano, prima di accrescere la gabella del sale di trenta soldi ogni staio, ne impetrò dal papa il permesso; della qual supplica ho letta io stesso una copia, scritta di quei tempi e conservata nella signorile raccolta de’ manoscritti nell’insigne archivio Belgioioso d’Este, e dice così: Beatissime Pater: - Manifesta est et satis nota apud S. V. immoderata nimium longe lateque dominandi ambitio, et aliena indebite usurpandi cupiditas Gallorum regis, adeo ut non modo principatum Mediolanensem, verum et universae Italiae subjugandae omnibus votis aspirare videatur: e conclude alla fine: quare ad B. V. confugere cogor pro re quae (sic) in evidentem totius Italie commodum cedet et mihi et tam immensae publicae necessitati consulet; etiam supplicando quatenus, in praemissis opportune providendo, B. V. auctoritate Apostolica qua fungitur, motu proprio, ex certa scientia et de plenitudine