Pagina:Storia di Milano II.djvu/196

Da Wikisource.

Ma le angustie dell’erario non permisero che interamente fossero indennizzati. In oltre il contestabile di Bourbon donò alla città il dazio della macina, che si valutava allora diecinovemila ducati di annua entrata; e donò pure il dazio del vino minuto, d’annua rendita di settemila ducati. Nacque disparere fra i ventiquattro rettori della città. Alcuni proposero di abolire questi due aggravii, perchè venisse sollevato il popolo, e non si accumulasse denaro nella cassa pubblica, d’onde sovente, col titolo di prestito, i rettori medesimi lo sviavano per non più restituirlo, abolendo così il nome di un molesto aggravio. Tal proposizione era di pochi; i più si opponevano; la disputa era impegnata, ostentando l’uno e l’altro partito il nome di patria e di pubblico bene, siccome è l’uso. Nè accadde allora ciò che pure succede, cioè che, mentre due partiti cozzano e guerreggiano, entri una più scaltra, o più potente persona di mezzo ad usurparsi la cosa disputata. Venne ordine in nome del re alla città di non disporre di tai regalie, intendendo il sovrano di conservare intiera la corona ducale. In vece però di que’ due tributi il re assegnò diecimila ducati annui alla città, da convertirsi in opere di pubblico beneficio. L’ordine del re è in data del 7 luglio 1516, e contiene: Christianissimus rex, animo revolvens fidelitatem et integritatem quam cives Mediolanenses erga Suam Majestatem habuerunt, et damna intolerabilia, quae passi fuerent, libere praedictae civitati donat atque concedit summam ducatorum decem milium annui et perpetui redditus, per manus receptoris civium recipiendos a mercaturae datiariis, quae quidem summa in commodum et utilitatem praedictae civitatis tantummodo et non aliter convertatur. Poi passa