Pagina:Storia di Milano II.djvu/221

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il dì 3 maggio 1522; indi perdettero Pizzighettone, poi Genova il giorno 23 giugno. Non rimase ai Francesi che il castello di Milano, che evacuarono poi il giorno 15 d’aprile dell’anno seguente, ed il castello di Cremona, il quale durò più tempo nelle loro mani. Le bandiere acquistate alla Bicocca si collocarono in trionfo nel Duomo.

Ad animare il popolo molto giovò un frate Agostiniano, che il Guicciardini chiama Andrea Barbato. Costui, eloquente predicatore, mosso fors’anche dal sagacissimo Morone, aveva preso sopra del popolo quel predominio, che ebbe già in prima frate Jacopo de’ Bussolari in Pavia, come vedemmo nel secondo tomo, cap. XIII; e senza ricorrere ai secoli trasandati, come l’ebbe in Napoli il gesuita Pepe, il quale, padrone del popolaccio, a forza di biglietti stampati con alcune parole pie, ammassò tanto da far gittare una statua d’argento di naturale grandezza. Egli dal pulpito annunziò la morte del proposto Lodovico Antonio Muratori, padre e maestro della critica e della erudizione, onore dell’Italia, e lo annunziò Franco Muratore, e nemico della vergine, nemico de Mamma mia. Lo stesso spirito mosse a declamare altri da que’ pulpiti contro Pietro Giannone, costretto a perdere la patria, e ridotto a terminare i suoi giorni in un carcere in pena d’averli spesi ad onore dell’Italia, patria nostra, sedotta dalla interessata e sediziosa voce d’un sacro declamatore. Morone conobbe quanta utilità poteva cagionare un tal mezzo, e l’adoperò. Questo frate si pose a predicare con applauso, anzi con entusiasmo universale