Pagina:Straparola, Giovanni Francesco – Le piacevoli notti, Vol. I, 1927 – BEIC 1930099.djvu/209

Da Wikisource.

favola quinta 203

si potesse; e con dolorosa e tremante voce diceva alla vecchia: — Ohimè, madre mia, ritornatemi come era prima; ritornatemi per lo amore d’Iddio, perciò che io non vidi mai cosa piú diforme, nè piú paventosa di questa. Deh! removetemi, vi prego, da questa miseria, nella quale inviluppato mi veggio. Deh! piú non tardate, dolce madre mia, porgetemi soccorso, che agevolmente porgere me lo potete. — La vecchiarella astuta taceva, fingendo tuttavia di non essersi aveduta del commesso fallo, e lasciavalo ramaricarsi e cuocersi nel suo unto. Finalmente, avendolo cosí tenuto per spazio di due ore, e volendoli remediare, da capo il fece inchinare; e messa mano alla tagliente spada, la testa gli troncò dal busto. Dopo, presa la testa in mano, ed accostatala al busto ed unta con suoi empiastri, nel primo suo esser ritornare il fece. Il giovane, vedendosi ridotto nel pristino suo stato, de’ suoi panni si rivestí; ed avendo veduta la paura, e per esperienza provato quanto brutta e paventosa era la morte, senza altro commiato prendere dalla vecchiarella, per la piú breve ed ispedita via ch’egli seppe e puote, ad Ostia se ne ritornò: cercando per lo innanzi la vita e fuggendo la morte, dandosi a migliori studi di quello che per lo adietro fatto aveva. —


il fine della quarta notte.