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favola terza 189

ordinate le cose mie, e fatte le debite provisioni all’anima e al corpo mio, allora ti manifesterò ogni cosa. — Per queste promissioni la scelerata e malvaggia moglie s’achetò. Poi che furono ritornati a Pozzuolo, subito ricordatasi della promessa a lei fatta, sollecitava il marito, che le dovesse mantenere quanto le aveva promesso. Le rispose il marito, che ella andasse a chiamar il confessore, perchè, dovendo egli morir per tal causa, voleva prima confessarsi e raccomandarsi a Dio. Il che fatto, le direbbe il tutto. Ella adunque, volendo piú tosto la morte del marito, che lasciar la pessima sua volontà, andò a chiamar il confessore. In questo mezzo giacendosi egli addolorato nel letto, udí il cane che disse tai parole al gallo che cantava: — Non ti vergogni, tu, — disse egli, — tristo e ribaldo? Il nostro padrone è poco lontano dalla morte, e tu che doveresti e tristarti e star di mala voglia, canti di allegrezza? — Rispose prontamente il gallo: — E se more il padrone, che ne ho a far io? Sono io forse causa della morte di quello? egli vuole spontaneamente morire. Non sai tu che gli è scritto nel primo della Politica: La femina e il servo sono ad un grado medesimo? Essendo il marito capo della moglie, dee la moglie istimare i costumi del marito esser la legge della sua vita. Io ho cento moglie, e facciole per timore tutte obedientissime a’ comandamenti miei, e gastigo ora una, or un’altra, e dolle delle busse; ed egli non ha salvo che una moglie, e non sa ammaestrarla, che le sia obediente. Lascia adunque che egli muoia. Non credi tu che ella si saprà trovare un altro marito? Tal sia di lui, s’egli è da poco, il quale desidera ubedire alla pazza e sfrenata voglia della moglie. — Le quali parole intese e ben considerate, il giovane revocò la sua sentenzia, e rendette molte grazie al gallo. E facendogli la moglie instanzia di voler intender la causa del suo ridere, egli la prese per gli capegli, e cominciò a batterla e diedele tante busse, che quasi la lasciò per morta. —