caduti nel mese di marzo dell’anno 1815, o pur solo l’espettazione di essi ridestarono nei cuori degl’Italiani la speranza di giorni migliori, e con la speranza l’energia. Due personaggi fra’ principali di Milano, uno de’ quali portava un nome illustre nell’aristocrazia; due personaggi che già si erano mescolati nei fatti del 17 e del 20 aprile del 1814, e dei quali ho taciuto i nomi, onde assegnar loro un posto appartato e non porgere al lettore l’occasione di confonderli con altri autori dei fatti medesimi, recaronsi dai primari ufficiali del governo e loro proposero di far venire in città un grosso polso di contadini in occasione della festa della Madonna di marzo, e di volgere poi la piena di que’ subillati contadini contro le case dei Milanesi di cui era noto l’attaccamento al cessato governo. Per proporre scopertamente l’assassinio, anche politico, vi vuole un capitale d’impudenza che dalla educazione viene riprovato e distrutto. Ond’è ch’io credo che quei due non osassero dire che volevano toglier la vita ai partigiani del governo franco-italico; ma dicessero all’incontro di non volere far altro che incuter loro timore, onde far loro passare la voglia di ribellarsi e strignerli fors’anche ad abbandonare la patria. Suppongo anzi che le vere loro intenzioni non fossero diverse da quanto io credo che dicessero. Checchè di ciò ne sia, il governo, più timoroso che pago d’un siffatto appoggio, memore altresì di quanto era accaduto il 20 marzo 1814 e di quanto erasi forte temuto di veder accadere nel giorno appresso, e schivo al postutto dall’ammettere qualunque cooperazione popolare, ributtò le pericolose proposte. Io dubito anzi, che la forsennata