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168 PARTE SECONDA

va ai dettami della prudenza col far aprire il varco pel quale dovea fuggire, e pagava infine, col trascurare d’invigilare sopra quel varco, il suo tributo alla levità del carattere (chè così può essere chiamata una siffatta impreveggenza). Chi non direbbe che si tratta qui di tre uomini diversi?

Interrogato come il Pallavicini e il Castillia, non doveva il Confalonieri cedere com’essi. Ma la sua impreveggenza tornò agli amici suoi non meno funesta, di quello che a lui fosse stata la fiacchezza del Pallavicini. Desiderando egli far conoscere alla moglie quanto era accaduto fra lui e i suoi giudici, volle scriverle due righe, e s’appigliò a quest’uopo ad uno di quei mezzi che sono da gran tempo usati dai prigionieri, sicchè da niuno sono ormai ignorati. Spiccò dalla invetriata un pezzo di piombo, fecene un rotolino appuntato e se ne valse a guisa di toccalapis per iscrivere una lettera sur un pezzetto di carta. Ciò fatto, era d’uopo trovare un messaggero; ed io non so veramente il perchè siasi il Confalonieri indotto a scegliere per quest’ufficio uno degli uomini della gendarme da cui era custodito. Parve costui intenerito dalle preghiere del nobile captivo; acconsentì alla domanda, promise fede, e recò la lettera al giudice inquisitore. Erano in questa lettera nominati il Fellberg, il Comolli, il Borsieri e alcuni altri, che vennero tosto catturati.

Incalzato dalle interpellanze, e addatosi altronde che la congiura era ben nota al governo, il Confalonieri, nell’atto stesso che confessò d’aver saputo delle macchinazioni dei congiurati, tentò di giustificarsi, allegando di essersi opposto sempre alla loro effettuazione. E in