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dell’Etruria, donde trassero molti insegnamenti; e pure è noto che i Romani stimarono la virtù dovunque albergasse, ed innalzarono statue ad Annibale lor fiero nemico, e portarono alle stelle la greca civiltà. Claudio Augusto scrisse la storia di Etruria, Catone scrisse sulle origini della città, e Varrone fu lodatissimo storico. Il lungo impero sacerdotale etrusco avea del tutto snervata la popolazione tirrena, ed i Lucumoni, o preti di Etruria, nel chiamare in lor difesa contro i Romani lo straniero Gallo, ferirono a morte la nazionalità italiana, mentre non innalzando il popolo, per timore di sollevarlo troppo alto al sentimento della difesa patria, lo fecero tanto corrotto ed impotente da divenir vittima innocente della boria sacerdotale, della tracotanza straniera e dell’ardire dei Romani; e quando questi furono vittoriosi, vivamente alcuni uomini generosi protestarono col sangue loro contro l’indegna adulazione che per quelli nacque; ma il corrotto popolo chinò il capo. Tentativi in Italia di liberarsi dal potere romano non mancarono, ma furono soffocati col sangue: e l’ultimo, il più disperato, fu quello di Spartaco il quale prese francamente per grido di guerra l’italico motto Italia, quale i Romani sempre dissero barbara, divisa, e fu una solenne protesta degli Italiani scontenti di esser tutti compresi sotto il dominio di una città la quale si soprapponeva alla nazione; e però quella formidabile guerra civile fu intitolata sociale, cioè di schiavi contro a’ padroni, quod cum sociis gestum est, foedere sociali. Noi non conosciamo gl’indegni mezzi di cui si servirono i Romani imperiali per reprimere ancora il sentimento nazionale